Il dialogo
Il dialogo è sicuramente un'arma molto potente per acquisire esperienza da altri e per migliorare la propria visione del mondo. Non sempre però è condotto in modo ottimale, portando in strade senza uscita, inasprendo gli animi di chi dialoga e risultando alla fine sterile, se non addirittura negativo.
I nostri limiti
Non è difficile sintetizzare alcuni fattori necessari affinché il dialogo sia una buona conversazione.
Chiarezza – Se si è approssimativi o confusi, non si può pretendere di essere capiti. Spesso le persone non si intendono perché partono da definizioni diverse dello stesso concetto. È pertanto buona norma cercare di definire i concetti che vengono usati con accezioni leggermente diverse rispetto al senso comune e verificare cosa intende l'interlocutore per i concetti più importanti che usa.
Sinteticità – Un'idea espressa in modo molto prolisso perde di efficacia perché l'essenziale annega nel superfluo, poco importa che il superfluo sia creativo, poetico, coinvolgente ecc.
Gli scopi – L'esposizione delle proprie posizioni deve avere un fine. Esporre concetti per il piacere di dialogare è una forma sterile di usare il linguaggio. Una discussione è inutile quando ha una probabilità minima di essere reale, cioè, in altri termini, è aria fritta e viene portata avanti solo per il piacere di dialogare.
L'autoverifica - Occorre una sostanziale capacità di mettere in discussione sé stessi e le proprie idee, prima ancora di farlo con quelle dell'altro. Pertanto, è importante verificare la propria idea. Spesso si scopre che la nostra esposizione troppo affrettata può essere facilmente attaccata, dar luogo a fraintendimenti ecc. Se per esempio uso una frase del tipo "gli italiani sono pigri" mi si può banalmente contestare il fatto che "molti non lo sono". Se la stessa frase diventa "molti italiani sono pigri" è molto più difficilmente contestabile. Chi scrive deve possedere la capacità di autoverificare quello che dice. Se una frase non regge, è inutile usarla lo stesso solo perché è "ha effetto". Non si partecipa per il piacere di dialogare, ma per dire qualcosa di costruttivo!
Se è banale trovare una confutazione a una mia frase, forse è meglio che stia zitto o che la formuli meglio.
La controparte
Una regola ovvia, ma che pochi tengono presente è che:
il dialogo è costruttivo solo se i dialoganti sono compatibili.
La compatibilità potrebbe essere appurata verificando che per lo meno i punti di partenza della trattazione di un argomento siano comuni. In realtà, una verifica è quanto mai laboriosa e nessuno la fa a priori; si preferisce tuffarsi nel dialogo e... vedere cosa succede.
Praticamente, cosa denota l'incompatibilità, cosa dovrebbe metterci in guardia? La risposta è semplice: la distanza delle posizioni.
L'analisi dovrebbe aver mostrato che prima di ogni dialogo si deve sondare la compatibilità con il dialogante.
Se le posizioni sono troppo distanti, si deve cercare di evidenziare i punti di incompatibilità risalendo fino a trovare una condizione molto generale, ma accettata da entrambi (approccio top-down). Se le differenze sono veramente enormi, se per me è un diritto ciò che per te è un delitto il dialogo diventa inutile se va oltre la semplice esposizione della propria posizione. Occorre parlare non all'altro, ma a un'ipotetica giuria, una sola volta, come in un'arringa finale che deve rimanere scolpita nelle menti dei due dialoganti. Il tempo e le loro esperienze saranno i giudici imparziali che emetteranno il verdetto.
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