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venerdì 27 settembre 2019

Maleducati, Ineducati, Timidi, Distratti

Maleducati, Ineducati, Timidi, Distratti



"Buongiorno"...come se nulla fosse. "BUONGIORNO". "Buongiorno". E tra me e me: "Ecco, ora hanno sentito!" Quante volte vi capita di entrare da qualche parte, al tabacchino, all'edicola, al bar, in un negozio, e pensare di avere a che fare con un audioleso? O anche di salire sull'ascensore, e di salutare lo specchio, mentre chi c'è già dentro è una sfinge impenetrabile? Tempo fa, al bar che frequento abitualmente, vicino casa, c'era un uccellino 
che spesso entrava e cominciava a girare di qua e di là. 

Cercava mollichine, e dopo averne ripulito il posto fino all'ultima, usciva come era entrato, senza un 
cinguettio, e volava via. L'uccellino è stato sostituito da un signore il quale, varcata la soglia del bar, si avvicina al banco, consuma, poi si siede a dare un'occhiata al giornale,
 infine paga alla cassa e va via. 

Senza aprire bocca se non per chiedere un caffè, un cornetto. Hai dei baffetti sotto una testa calva, e 
porta dei mocassini che producono un ticchettio mentre si muove per tutto il locale. Questo è l'unico 
segno audio della sua presenza, oltre alle parole che pronuncia per avere ciò che gli serve. Tanto che 
all'inizio pensavo fosse muto, e che avesse fatto ricorso a un logopedista per farsi insegnare come dire "cornetto" e "caffè", per consentirgli di districarsi almeno al bar. Un giorno, invece, l'ho sentito 
colloquiare con altre persone davanti all'ingresso. Dapprima ho pensato che si fosse procurato un 
ventriloquo che parlava al posto suo, mentre lui muoveva solo le labbra. Ma, avvicinandomi, ho 
appurato che no, era proprio lui parlare, e che non era muto, ma solo maleducato o ineducato (la 
differenza è importante: il primo termine denuncia una responsabilità dei genitori, il secondo è più 
neutro: me lo ha insegnato mia madre da piccolo). 


 Nella mia famiglia, a proposito, siamo stati abituati a salutare, e a dire grazie e prego, da bambinetti. 

Mia madre adottò un metodo infallibile: quando ci teneva per mano, se non ci comportavamo in maniera educata non diceva niente, e nulla della sua disapprovazione trapelava dal suo viso. Si limitava a stringerci la manina così forte da rischiare di rimanerci storpi a vita. Tra le buone maniere e l'eventualità di una mano offesa abbiamo scelto senza esitazioni le prime. Poi ci sono i colleghi e le colleghe ai quali, incontrandoli nel corridoio, rivolgi perlomeno un cenno di saluto. 
Alcuni di loro, avendo forse i "Ciao" o i 
"Buongiorno" contati, e temendo di non averne abbastanza fino alla fine dei loro giorni, ti passano 
accanto senza degnarti di uno sguardo. Altra situazione simile quando cedi il passo, o apri la porta e 
aspetti che qualcuno la attraversi prima di te. Il qualcuno, invece di ringraziarti a parole o inclinando il capo, procede come se tu fossi il portiere dell'albergo e stessi facendo solo il tuo dovere, non sapendo che anche il portiere è un essere umano e sarebbe il caso di non farlo sentire un manichino. E in strada? Vedi un pedone fermo davanti al marciapiede, lontano dalle strisce, e fermi la macchina per farlo attraversare. Il pedone (più spesso una donna che un uomo, e ancora più di sovente una ragazza) ti sfila davanti perso non nei suoi pensieri, ma nella sua male/ineducazione. Al che ti viene la voglia di corrergli dietro e metterlo sotto, così almeno ti guarderà in faccia per insultarti. E quando ti dicono: "No, guarda, non lo fa per male, è distratto" oppure "E' timido". Ho capito, quindi è distratto e si dimentica di mangiare, o di bere? Perché il comportarsi in maniera educata e rispettosa deve essere considerato meno importante delle normali attività quotidiane?

 E' timido: poi, caso strano, se si tratta di chiedere un favore, o se il timido si deve rivolgere a qualcuno col quale non si può permettere di essere meno che educato, si trasforma fatalmente in uno zerbino, tutto sorrisi, grazie, prego, si figuri, si accomodi, dopo di lei: timidi come le luci dell'albero di Natale, a intermittenza. E così ti capita che la collega che incontri ogni giorno e si gira dall'altra parte per non correre il rischio non di salutare, ma di essere salutata, un giorno ti tocca la macchina a un incrocio dove ha lo stop. Tu scendi, la riconosci, e già sul tuo viso si disegna un ghigno da Jocker: ora ti faccio pagare tutte le volte in cui non mi hai calcolato, neanche avessi la lebbra. Il danno è lieve, ma c'è e si vede. Lei, improvvisamente dolce da far venire un diabete fulminante: "Scusa, ma va bene, non si è fatta niente" e poi, senza ritegno: "E siamo pure colleghi, non mi hai riconosciuta?". Al che ti verrebbe da rispondere che non l'hai mai vista, da andare in macchina e prendere il modello per l'assicurazione e farglielo firmare seduta stante. Però sei buono, e non vuoi farle pagare il malus. Ma buono fino a un certo punto. "Siamo colleghi? Ma siamo colleghi ora che mi hai investito con la macchina, o tutti i giorni? No, perché se siamo colleghi e ci conosciamo, non mi spiego 
perché non saluti mai". "No, fa lei, ma sai, andiamo sempre di fretta". "Sì, anche oggi, tanto che mi hai investito". "Va bene, sempre col sorriso stampato in faccia, ma la macchina non si è fatta niente". "Va bene, lasciamo stare, andiamocene. Ci vediamo a lavoro. Buona giornata". "Grazie davvero, ciao". Da quel giorno, mi saluta a un chilometro di distanza. E, quando si avvicina, le guardo la mano: per vedere se ci sono i segni della stretta tipo quella di mia madre.


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domenica 22 settembre 2019

Bruno Vespa che Schifo

Bruno Vespa che Schifo


Bruno Vespa sarà sottoposto a un provvedimento disciplinare da parte dell'Ordine Nazionale dei Giornalisti, in seguito all'intervista a Lucia Panigalli, andata in onda nella puntata di Porta a Porta del 17 settembre. La donna ha raccontato la sua storia di vittima di un uomo violento, condannato per aggressione nei suoi confronti e successivamente tornato libero, nonostante abbia espresso l'intenzione di assassinarla. La condotta di Vespa nel corso del colloquio, nonostante la delicatezza del tema trattato, è apparsa più volte offensiva nei confronti della Panigalli, con un atteggiamento assolutorio verso il carnefice e un tentativo continuo di ridimensionare la portata del dramma vissuto dalla donna. Immediato l'intervento della Commissione Pari Opportunità dell'Ordine.


A “Porta a porta” va in scena un’inaccettabile intervista, che dà in pasto al pubblico la sopravvissuta di femminicidio. Le proteste sui social e delle associazioni di donne

«Signora, se avesse voluto ucciderla l’avrebbe fatto». L’affermazione, con un mezzo sorriso, è di un professionista del servizio pubblico televisivo, Bruno Vespa. La signora a cui si rivolge nel suo salotto è Lucia Panigalli, che ogni volta che esce di casa deve avvisare i carabinieri che la scortano anche per andare a prendere un gelato, vive blindata circondata da telecamere e allarmi e ha dichiarato più volte di sentirsi come «una malata terminale», da quando Mauro Fabbri, condannato per il suo tentato omicidio a otto anni di carcere, grazie ai benefici di legge è già in libertà e vive a quattro chilometri da casa sua, nel ferrarese. 

Il copione è il solito: tra Panigalli e Fabbri c’era stata una breve relazione, poi lei l’aveva lasciato e lui ha voluto fargliela pagare. Ma non è finita. Durante la carcerazione per il primo tentato omicidio, avvenuto 9 anni fa, Fabbri ha commissionato l’omicidio della Panigalli al suo compagno di cella, un bulgaro, in cambio di 75mila euro e un trattore. Il sicario ha intascato la ricompensa ma non aveva nessuna intenzione di commettere il delitto e ha denunciato Fabbri. Il secondo processo si è concluso con un’assoluzione perché aver pianificato un delitto senza che si sia verificato poi l’atto non configura un reato. 

Nonostante il secondo processo, al di là della conclusione, l’uomo è uscito prima dal carcere per buona condotta. Lucia Panigalli è da Vespa per denunciare tutto questo e per promuovere una proposta di legge presentata con la senatrice Laura Boldrini che permetta di modificare l’articolo 115 del codice penale e di punire il mandante di un tentato omicidio. Ma a Vespa di questo interessa poco. Gli interessa di più, come è nello stile della trasmissione, riallestire un secondo processo e procedere ad un interrogatorio incalzante della sua ospite che sembra tutto mirato a minarne la credibilità, a ridimensionare l’allarme, a giustificare l’assassino.

Perde l’aria grave e rispettosa che aveva poco prima intervistando il potente di turno, Matteo Renzi e assume un’aria scanzonata e rilassata. Se ne frega che ci sia una sentenza che ha mandato in galera Fabbri per il primo tentato omicidio. Per lui non voleva ucciderla e lo dice interrompendo la donna mentre racconta il primo agguato: l’uomo con il passamontagna che l’aspetta sotto casa e la prende a coltellate, il coltello si spezza e quindi passa ai calci, lei che si divincola e riesce a vederlo in faccia e miracolosamente a scappare.  Guardando la foto del volto tumefatto  Vespa commenta: «In effetti l’aveva ridotta piuttosto male». 

La interrompe spesso con domande del tipo «Posso chiederle di che cosa si era innamorata?», che di solito sottintende che è anche un po’ colpa sua se si è scelta un tipo così. E insiste: «18 mesi sono un bel flirtino però…». Vespa in tutti i modi prova a minimizzare tra sogghigni e battutine. «A differenza di tante altre donne è protetta. Non corre rischi». Il clou nella frase incredibile: «Quindi lui era così follemente innamorato di lei da non volerla dividere se non con la morte, finché morte non vi separi come si dice».  Risata mentre Lucia rabbrividisce e gli risponde che non si può associare la parola amore a quello che le è successo. 

Vespa attua in modo scrupoloso quella vittimizzazione secondaria della sopravvissuta ad un tentato femminicidio che viola oltre alla decenza tutte le carte dei doveri del giornalismo, compreso il manifesto di Venezia promosso da noi di GiULiA, dalla Cpo della Fnsi e anche dal sindacato dell’azienda per cui lavora, l’Usigrai. Lucia Panigalli durante tutta la trasmissione ha mantenuto un sangue freddo ammirevole, ma suo malgrado è stata costretta a controbattere, a difendersi, mentre era lì  non per sentirsi vittima ma per affermare un’azione positiva, una modifica legislativa del codice penale che il servizio pubblico avrebbe dovuto approfondire. 

In queste settimane di discussioni roventi su come si fa cronaca nera sui femminicidi e in certi casi giustamente si sono stigmatizzati alcuni racconti del delitto di Elisa Pomarelli in cui si sono usate espressioni inappropriate e troppo empatiche nei confronti dell’assassino, qui facciamo un bel passo oltre: di fronte ad una verità giudiziaria, passata in giudicato e inoppugnabile, sbranare di nuovo la vittima per dare in pasto ai telespettatori ogni brandello di carne utile all’audience. 

Cito alcuni dei punti del Manifesto di Venezia fatti a pezzi a cominciare da quanto scritto nella premessa: 1 «Il diritto di cronaca non può trasformarsi in un abuso. “Ogni giornalista è tenuto al “rispetto della verità sostanziale dei fatti”. Non deve cadere in morbose descrizioni o indulgere in dettagli superflui, violando norme deontologiche e trasformando l’informazione in sensazionalismo». 

E poi più o meno tutto il punto 10: «Nel più generale obbligo di un uso corretto e consapevole del linguaggio, evitare:

a) espressioni che anche involontariamente risultino irrispettose, denigratorie, lesive o svalutative dell’identità e della dignità femminili;

b) termini fuorvianti come “amore” “raptus” “follia” “gelosia” “passione” accostati a crimini dettati dalla volontà di possesso e annientamento;

c) l’uso di immagini e segni stereotipati o che riducano la donna a mero richiamo sessuale” o “oggetto del desiderio”;

d) di suggerire attenuanti e giustificazioni all’omicida, anche involontariamente, motivando la violenza con “perdita del lavoro”, “difficoltà economiche”, “depressione”, “tradimento” e così via.

e) di raccontare il femminicidio sempre dal punto di vista del colpevole, partendo invece da chi subisce la violenza, nel rispetto della sua persona». 

La buona notizia è che, a dispetto di Vespa, il cambiamento è in corso, non solo nel ristretto circuito delle associazioni di donne. Un post su Facebook del giornalista Lorenzo Tosa, che cura il blog sul giornalismo Generazione Antigone, in cui si racconta e si condanna con parole ineccepibili l’orrenda intervista di Vespa a Lucia Panigalli, ha ricevuto in poche ore migliaia di condivisioni. 



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Chi è la capitana Carola Rackete

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Nazionalitá tedesca, ma si definisce Cittadina Europea. Ha 31 anni, fin da ragazza é sempre vissuta del suo lavoro. Vanta tante esperienze con un curriculum di grande spessore , parla bene 4 lingue: francese,Russo, Inglese, Spagnolo. Ha frequentato tre università, studiato nel Regno Unito Queen Mary University di Londra, come ingegnere, ha conseguito un brevetto nautico di ufficiale navale di grosso cabotaggio, ha fatto esperienza di volontariato sulle navi di ricerca, a soli 23 anni si è imbarcata come nostromo su una rompighiaccio facendo rotta verso il polo Nord, per delle ricerche ambientali a difesa del pianeta, ha salvato vite umane al comando della Greenpeace,con uno stipendio di circa 1600 al mese . Attualmente svolge attività scientifica ambientale come volontaria. ( tutto questo documentato e verificato da varie fonti )

Carola dà ancora una volta una lezione a Salvini:
 nessuna parola contro di lui,nessun commento, nessun insulto, nessuna retorica.
Nulla contro chi l’ha usata e la usa per salvare sè stesso agli occhi degli elettori, niente di pessimo come invece ha fatto il capitone.
Lei ha salvato vite, lei è buona, lei non ha bisogno di SCAPPARE e di DIFFAMARE come Salvini.
Lei ci rispetta, mai come Salvini che insulta la nostra intelligenza a suon di slogan idioti.
Grazie Carola ??

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Domiciliari ai Militanti di CasaPound accusati di aver Violentato una donna 36enne

Domiciliari ai Militanti di CasaPound accusati di aver Violentato una donna 36enne

Stupro di Viterbo, il gip concede i domiciliari ai militanti di CasaPound

Francesco Chiricozzi e Riccardo Licci, accusati di aver violentato una donna 36enne, si trovavano in carcere dallo scorso aprile

Il giudice per le indagini preliminari ha concesso gli arresti domiciliari a Francesco Chiricozzi (all’epoca consigliere comunale di Vallerano) e a Riccardo Licci, i due ex militanti di Casapound accusati di stupro nei confronti di una donna 36enne. 

I due giovani erano rinchiusi da oltre 4 mesi nel carcere Mammagialla di Viterbo, ma la difesa aveva presentato più volte istanza per la concessione dei domiciliari. Dopo due richieste respinte, il giudice ha predisposto per i due gli arresti domiciliari con obbligo di utilizzo del braccialetto dotato di gps, per monitorarne la localizzazione. 

Nei giorni scorsi era stata depositata la perizia condotta sui sistemi di videosorveglianza del circolo Old Manners di Viterbo e sui cellulari di Chiricozzi e di Licci, per ricostruire la dinamica dell’accaduto, e la Procura aveva richiesto il giudizio immediato per i due giovani.

«Non si sono mai detti dispiaciuti non solo della violenza, ma anche di aver condiviso il video»
Dalla perizia, secondo quanto riferito all’Adnkronos da Fausto Taurchini, avvocato della vittima del presunto stupro, sarebbero emersi dei video in cui si vedono i tre entrare nel pub viterbese e la loro uscita dal locale.

Al netto di questi nuovi elementi, il legale della vittima spiega che «si rafforza l’idea che i due hanno agito senza il benché minimo consenso della ragazza»: «Noi avevamo già fatto opposizione ai domiciliari anche perché i due arrestati non hanno finora dimostrato un pentimento».

«Ci sarà il processo – continua l’avvocato Taurichini – noi andremo avanti e vedremo se insistono a non chiedere nemmeno scusa: non hanno mai chiesto scusa, non si sono mai detti dispiaciuti non solo della violenza ma anche di aver condiviso il video. Quella è stata una cattiveria in più».

La vicenda
Il gip di Viterbo Rita Cialoni, nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, aveva definito «raccapriccianti» i video ritrovati nei cellulari di Chiricozzi e di Licci e poi condivisi in una chat di Whatsapp.

I due, secondo l’ordinanza del gip, avrebbero commesso «reiterati abusi» sulla donna, che appariva «inerme e apparentemente priva di sensi, completamente nuda e sdraiata sul pavimento», agendo in modo «beffardo e sprezzante». 

Chiricozzi e Licci, negli interrogatori di garanzia, hanno sempre sostenuto di aver inteso che la donna fosse consenziente e di aver interpretato il rapporto come tale.

I due avrebbero incontrato la 36enne in un bar di Viterbo, proponendole poi di spostarsi all’Old Manners, dove si è consumata la violenza. I due, dopo l’arresto, sono stati espulsi da Casapound.


Stupro di Viterbo, parla il padre di Licci: «È vero, gli ho detto di buttare il telefono»
Viterbo, parla la donna che ha denunciato i due militanti di CasaPound: «Ho ancora paura di loro»
Il consigliere di CasaPound arrestato per stupro
 postava manifesti fascisti contro i «neri violentatori»
 Di Maio: «Una presa in giro»

Emergenza Sicurezza si chiama CagaPound

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