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giovedì 19 settembre 2019

Aborto e la legge 194

Aborto e la legge 194


L’inchiesta pubblicata qualche giorno fa da “L’Espresso” e intitolata «Aborto, costrette a emigrare per un diritto. Così le donne devono "pagare" la loro scelta» ha riacceso, ancora una volta, l’inesauribile dibattito sulla legge 194. L’autore del lungo articolo di datajournalism ha analizzato, dettagliatamente, la situazione italiana per quanto riguarda l’obiezione di coscienza, risollevando una questione che, a quanto sembra, difficilmente troverà una soluzione: nel nostro Paese la stragrande maggioranza dei ginecologi, degli anestesisti e del personale non medico ha scelto di obiettare sulle interruzioni volontarie di gravidanza. La Campania, ovviamente, non fa eccezione: l’81,8% dei ginecologi della regione ha scelto di avvalersi di questo diritto.

Qualche mese fa, abbiamo avuto modo di parlare con un medico obiettore. Il dott. Antonio Picariello ebbe modo di spiegare dalle nostre colonne i motivi della sua scelta, in qualche modo rispondendo all’intervista rilasciata in quei giorni dalla dott.ssa Carla Ciccone, Dirigente Medico U.O. Ostetricia e Ginecologia A.O.R.N. "S.G. Moscati" Avellino a Repubblica.

Oggi, prendendo spunto proprio dall’inchiesta de “L’Espresso”, abbiamo deciso di rivolgerci direttamente alla dott.ssa Ciccone, sia per comprendere meglio quale sia la situazione in Irpinia rispetto al diritto di interruzione volontaria di gravidanza riconosciuto dalla 194, sia per comprendere meglio i dati campani riportati su quelle tabelle.

Dott.ssa Ciccone, perché ha scelto di non essere un obiettore di coscienza?

le donne hanno potuto scegliere


«La mia è una scelta ponderata e motivata. Ritengo, da donna e da medico della donna, che nessuno abbia il diritto di giudicare le scelte di una coppia e, soprattutto, la scelta di una donna di interrompere una gravidanza perché è lei che, chiaramente, subisce tutto quello che il caso richiede. Quando si parla del corpo femminile tutti si sentono autorizzati a dare giudizi. Essere un non obiettore è una scelta che comporta senza dubbio molti più problemi di quelli che si potrebbero avere scegliendo di stare dall’altra parte. Anche noi, dal canto nostro, viviamo quotidianamente dei drammi: un camice non copre il nostro dolore. Il non obiettore vive, insieme alla donna che decide di interrompere la gravidanza, il suo stesso lutto. Sì, un lutto, perché un aborto è un lutto senza bara. Un dolore che la donna non riuscirà mai ad elaborare, soprattutto se ha già deciso di fare l’ivg e trova dinnanzi a sé porte chiuse, gente che obietta e la giudica: in 35 anni di carriera non ho mai visto un’interruzione senza sofferenza, un dolore che, a volte, diviene anche estremo».

Ma nell’intervista che rilasciò su “La Repubblica” questa angoscia non emerse. Anzi, il suo apparve alla stragrande maggioranza dei lettori un intervento cinico e distaccato…

Un aborto è un lutto senza bara. Un dolore che la donna non riuscirà mai ad elaborare, soprattutto se ha già deciso di fare l’ivg e trova dinnanzi a sé porte chiuse, gente che obietta e la giudica

«Quel giornalista, medico come me, non ha saputo trasporre su carta quanto dissi. Ho subito numerosi attacchi mediatici a seguito di quell’intervista: c’è stato addirittura chi mi ha definito “portinaia del paradiso degli aborti”. Ma chi sono loro per giudicarmi? E chi sono io per giudicare una donna che coraggiosamente va dal suo ginecologo a richiedere, le ripeto, con un’estrema sofferenza, di avvalersi di un diritto stabilito dalla legge? E chi sono io, medico, per decidere di passare la palla ad un altro? Io non sono senza scrupoli e non decido di aspirare un cuoricino che batte: sono solo un medico che fa il suo mestiere e
 cerca di farlo nel migliore dei modi,
 senza ipocrisie».

legge 194: laicità e civiltà


Anche nell’intervista a Repubblica ha definito i medici obiettori degli ipocriti. Perché?

«Molti medici obiettori, e lo stesso dott. Picariello, molto spesso mi chiamano per mandarmi delle loro pazienti che decidono di interrompere la gravidanza. Il caso che si presenta più spesso è quello dell’anomalia genetica della Trisomia 21, la Sindrome di Down. Ecco, quello è il caso di interruzione che io porto avanti, se la donna me lo richiede, con i problemi etico-morali più grossi. Oggi, anche se attraverso mille difficoltà, un bambino Down educato, stimolato e trattato, riesce ad avere una vita “paranormale”, nonostante la società non si abituerà mai a loro e continuerà sempre a guardarli con distacco. Non è vero che un obiettore non uccide: fa in modo che sia un altro a fare per lui quello che giudica per se stesso un lavoro sporco. Se un obiettore mi passa la patata bollente, lavandosi così la coscienza, pensa di fare una buona azione? No: la sua è solo un’ipocrita, immorale carità pelosa».

Non è vero che un obiettore non uccide: fa in modo che sia un altro a fare per lui quello che giudica per se stesso un lavoro sporco, pensa di fare una buona azione? No: la sua è solo un’ipocrita, immorale carità pelosa

Come riesce a superare le sue difficili giornate lavorative?

«Un giorno una mamma che decise di interrompere la sua gravidanza per problemi molto seri mi chiese, tra le lacrime: “dottoressa, lei ci aiuta tanto, ma chi aiuta lei?”. Non so chi mi dia la forza: penso che all’interno del mio staff del Moscati abbiamo imparato a sostenerci l’un l’altro. L’iter per l’interruzione di una gravidanza non è semplice né per la donna che lo richiede, né per lo staff che la accudisce, la prepara e le sta vicino per tutto il tempo. Si crea una situazione di pathos difficilmente sopportabile. A volte ci sembra di impazzire, ma dobbiamo avere la forza di continuare per le donne e perché i loro diritti siano rispettati. Qualche tempo fa ho seguito un master in Bioetica e Deontologia professionale. Al termine ho elaborato una tesi sull’obiezione di coscienza nelle varie religioni: non è la religione cristiana il problema, sono i cattolici ad essere ipocriti. Sono ipocriti perché usano il metro dei due pesi e due misure: ho sentito un sacerdote dire alla propria sorella “ma come fai a mettere al mondo un bambino handicappato”. Se nemmeno la Chiesa, un prete, uno zio-prete, è capace di accogliere un bambino diversamente abile, 
che speranza abbiamo che il resto della società lo accolga?»

A tal proposito, è di qualche settimana fa la notizia del parroco che ha negato la Comunione ad un bambino autistico….

«Esatto. E allora perché poi si permettono di giudicare una donna che decide di avvalersi di un diritto? Perché si permettono di giudicare me che faccio solo il mio mestiere? Sa, ho una forte educazione cristiana: feci la comunione a cinque anni perché conoscevo il catechismo a memoria, perché mia madre era Ministro Straordinario. Per cui so bene ciò di cui stiamo parlando».

Se nemmeno la Chiesa è capace di accogliere un bambino diversamente abile, che speranza abbiamo che la società li accolga? Perché poi i cattolici si permettono di giudicare una donna che decide di avvalersi di un diritto?

Sotto questo punto di vista ha scelto un lavoro complicato. Perché?

«Quando ero giovane ho vissuto sulla mia pelle il problema di una mancanza di una legge a tutela delle donne. Ho conosciuto l’esperienza traumatica degli aborti clandestini quando donne disperate affidavano la loro vita a delle macellaie che si facevano chiamare “mammane” che le “operavano” nei sottoscala putridi dei quartieri disagiati di Napoli. Quelle più fortunate andavano a Port’Alba, vicino alla libreria Guida, dove i Radicali aprirono un centro che le assisteva gratuitamente. Decisi di diventare ginecologa quando, giovanissima, vidi morire una donna. Si chiamava ’Macolata: l’avevo vista sposa, l’avevo vista crescere amorevolmente con suo marito i suoi quattro figli. ’Macolata rimase incinta del quinto ma un altro figlio non se lo poteva permettere: un “mammano” la sventrò, letteralmente. Fu lì che decisi quale dovesse essere la mia missione: per quanto la legge di allora non lo accettasse, per quanto oggi una legge ci sia ma l’80% dei medici in Italia decida di obiettare, per quanto ci siano pubblicità progresso o pseudo progetti di “Umanizzazione del percorso nascite” sui quali anche la Regione Campania sta spendendo enormi quantità di denaro, se una donna decide di interrompere una gravidanza lo farà lo stesso, in ogni modo. Morti come quella di ’Macolata non devono mai più esistere».

Tante contraddizioni dietro ad una realtà, quella dell’aborto, che esiste e che è sempre esistita…

«L’Italia è il Paese delle contraddizioni per cui, in un modo o nell’altro, ci si ritrova a schierarsi: io l’ho fatto pienamente. Ergersi a giudice della scelta della donna non fa il bene della stessa. Un medico la deve accompagnare in ogni sua scelta. Perché io non mi rifiuto di far partorire una donna, di levarle un utero se è malata, di curarle una qualsiasi malattia ma poi mi dovrei rifiutare di interrompere la sua gravidanza, sapendo che se ha deciso lo farà comunque? La 194 è una legge perfetta e bellissima, ma l’obiezione di coscienza è la più grande ipocrisia che le persone di sinistra potessero inserire al suo interno».

L’obiezione di coscienza non è solo il frutto di scrupoli morali: spesso è solo una soluzione di comodo, anche carrieristica: che giudichino moralmente loro stessi, non la scelta di una paziente

Cos’è realmente, per lei che la conosce meglio di chiunque altro, un’interruzione di gravidanza?

«La legge 194 parla chiaro: “La donna può interrompere la gravidanza qualora il prosieguo di questa costituisca pericolo per la sua salute fisica o psichica”. Nel corso della mia carriera ho conosciuto tante che hanno portato al termine la gravidanza, malgrado una grande malformazione del feto e le ho ammirate non poco per l’estrema forza e il coraggio che hanno avuto nel proseguire, pur sapendo che il figlio non avrebbe avuto futuro. I “battitori di petto”, così chiamo gli obiettori, non solo mi passano i loro casi, ma hanno anche il coraggio di giudicarmi: ma che ne sanno loro di me? Quel che so io è che l’obiezione non è solo il frutto di scrupoli morali: spesso è solo una soluzione di comodo, anche carrieristica. Le dico di più: quando io e i miei colleghi non obiettori del Moscati andremo in pensione sono certa che qualche obiettore, pur di prendersi la struttura, rinuncerà al suo diritto: in quel caso, sarò io a contattarvi per una nuova intervista. L’animo umano ha tante pieghe e tanti risvolti: nessuno ha il diritto di giudicare, lo ribadisco con forza. Che giudichino loro stessi, non la scelta di una paziente».

Sull’inchiesta dell’Espresso alla nostra attenzione è venuto il caso dell’Irpinia. Un’isola felice, come Lei stessa la definì sulle colonne della Repubblica, in cui comunque un 18,1% di donne ha dovuto cambiare provincia per effettuare l’interruzione di gravidanza. 
Tra queste il 7% è andata addirittura fuori regione…

«La realtà irpina, e quella avellinese in particolare, è piccola: il rischio di ritrovare tra i corridoi dell’ospedale qualcuno di conosciuto è alto. Come la signora di Salerno o Benevento decide di migrare ad Avellino, lo stesso accade per la signora irpina. Anni fa mi trovai al cospetto di un caso paradossale: nel corridoio, in attesa per l’intervento, si ritrovarono contemporaneamente madre e figlia. Due cognomi logicamente diversi: chi poteva immaginare che fossero parenti e con un legame così stretto? Per gli aborti terapeutici ricevo al Moscati donne che vengono da tutta l’Italia centro-meridionale, principalmente dal basso Lazio, basso Molise, Campania, Puglia Garganica, Potentino e Cosentino. Un buon 15% di loro arriva qui perché trova dei muri ovunque. Sono l’unica che accetta donne che decidono di interrompere la gravidanza fino alle 24 settimane, dopo lunghe discussioni con i 15 medici del Comitato Etico dell’ospedale: psichiatri, genetisti, ginecologi, internisti».

C’è stato addirittura chi mi ha definito “portinaia del paradiso degli aborti”

La decisione del Comitato Etico del Moscati di accettare gravidanze così avanzate ha scatenato numerose polemiche nei vostri confronti. Un bambino di 24 settimane è praticamente formato…

«E’ vero, un bambino di 24 settimane potrebbe sopravvivere. Ma uno sano, non uno malato e malformato che, fortunatamente, non riesce a farlo per più di qualche istante. Mi possono attaccare quanto vogliono: se ce ne fosse necessità, farei abortire le donne fino all’ultimo giorno, così come accade in Francia: lì, se le malformazioni sono gravi, da incompatibilità con la vita, la donna può decidere l’ivg fino al termine della gravidanza».

Nel corso dei suoi 35 anni al servizio della donna ha avuto delle esperienze 
che l’hanno segnata profondamente?

«Sì. La più forte, una vera e propria lezione di vita, è stata con una nostra ex-caposala, una suora, quella che io chiamavo “Sister Walter”. Quando arrivò la avvisai del fatto che noi praticavamo l’ivg: lei mi rispose che quelle donne erano per lei pazienti come tutte le altre. Sister, però, aveva nei loro confronti un atteggiamento estremamente amorevole e di riguardo: da quando iniziava il suo turno, il suo pensiero era tutto per loro. Un’altra grande lezione l’ho avuto dal dott. Ardovino. Quando arrivò al Moscati scoprì una realtà per lui nuova, avendo lavorato precedentemente in un ambiente cattolico. Qualche tempo fa mi trovai davanti ad una igv al limite, molto particolare. Gli chiesi aiuto e lui mi disse “Carla, fai come se fosse tua figlia, dalle il meglio che puoi”. E’ stato il più grande consiglio che nella mia “conflittualità tra pari” abbia mai potuto avere».

Tra tutte, qual è stata la più forte?

«Ne ho vissute tante. Ci sono donne che devono interrompere la gravidanza per gravissime malformazioni. Donne che, prima di scoprire che la loro creatura non fosse idonea alla vita, avevano già scelto il nome da darle, iniziato a preparare il corredino. Ogni storia, a suo modo, è forte. Ricordo ciascuna di loro con grande affetto: sono tutte nel mio cuore».

Dottoressa, la ringraziamo per la sua disponibilità.



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