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giovedì 7 novembre 2019

Il Trucco e le Donne


Donne ed il Trucco


Sapevate che esiste una vera e propria psicologia del trucco? 
Le donne utilizzano il make up non solo per apparire più belle,
 ma ci sono delle ragioni più profonde che spingono le donne a truccarsi. 
Scopriamo di più!
Perché le donne si truccano? Una risposta semplice potrebbe essere: per sentirsi più belle! Dietro il 
make up si celano aspetti della nostra personalità e del nostro carattere che vengono fuori dal modo in cui trucchiamo gli occhi, la bocca, o dai colori che utilizziamo. Abbellire o accentuare alcuni tratti del viso è in realtà un'arte che ritroviamo già nell'antico Egitto e nell'antica Grecia: il viso veniva arricchito con colori, perlopiù presi dalla natura, per essere abbellito, ma anche per evidenziare la personalità o lo status sociale. Tutto ciò è andato avanti nei secoli fino ad arrivare a noi. Il trucco ha quindi molto a che fare con la psicologia di una donna e con la sua voglia di sentirsi diversa e unica, oltre alla voglia di piacere.
Cosa spinge le donne a truccarsi?
Il trucco può essere considerato come una maschera che utilizziamo per nascondere oppure 
evidenziare dei tratti del nostro viso e del nostro carattere. Il make up può farci quindi apparire più 
sensuali, aggressive, dolci. Dietro al modo in cui ci si trucca riveliamo noi stessi e la voglia, a volte 
inconscia, di mostrare agli altri una determinata immagine di noi. Il trucco svela quindi anche la nostra identità psicologica: grazie al make up valorizziamo non solo l'aspetto fisico, ma anche il nostro mondo interiore, rivelando la nostra personalità e il nostro modo di essere. Attraverso il trucco ogni donna risalta la propria immagine e la propria identità esprimendo non solo ciò che è, ma anche ciò che vorrebbe essere: una donna sexy, dolce, combattiva. Con il make up risaltiamo aspetti che nascono dalla nostra psiche per rappresentare noi stesse come ci vediamo, ma anche come vorremmo essere percepite dagli altri.

Voglia di migliorarsi


Trucco come necessità di far emergere la propria identità, enfatizzando quegli aspetti di noi che 
vogliamo rivelare e che ci fanno sentire migliori. Utilizzare il make up per mettere in risalto quei tratti del nostro carattere che ci rappresentano e che consideriamo importanti: il trucco quindi non solo come maschera, ma come modo per rivelare aspetti profondi di noi stesse, di come vogliamo essere viste dagli altri.
Il make up fa sentire le donne più sicure
Molte volte si tende ad etichettare le donne che si truccano come insicure, donne che hanno paura di 
rivelarsi per ciò che sono "senza maschera". In realtà chi si trucca tende a mettere in risalto tratti del 
proprio viso particolarmente attraenti o che potrebbero diventarlo con il trucco giusto: sono quindi sicure del proprio fascino, che desiderano evidenziare. 
Quando invece il trucco è indice di insicurezza? 
Quando il make up diventa eccessivo, tanto da farci apparire ridicole, significa che vogliamo camuffare il nostro aspetto, negando una parte di noi che non accettiamo. Il trucco diventa quindi una sorta di auto incoraggiamento, un modo per sentirsi più disinibite.

Donne ed il Trucco


Perché truccare gli occhi o le labbra?
Nel momento in cui utilizziamo il make up decidiamo di focalizzare l'attenzione su una parte del nostro viso. Qual è il motivo psicologico?
Truccare gli occhi in modo più accurato significa che vogliamo puntare i riflettori sulla nostra 
personalità, un modo per mostrare la propria parte interiore: gli occhi come specchio dell'anima che 
possiamo enfatizzare con il trucco. Gli occhi rappresentano anche la nostra parte più espressiva: molte donne, infatti, non possono rinunciare al mascara per sentirsi più sicure e meno "nude".
Truccare le labbra indica la voglia di mostrare la propria sensualità, soprattutto se per la nostra bocca 
scegliamo colori vivaci per mostrare tutta la nostra femminilità.
In merito ai colori, utilizzare per il make up toni accesi può essere un modo per esprimere la propria 
vivacità ma anche un modo per nascondere un velo di tristezza. I toni vivaci hanno quindi questo doppio significato, sta a noi capire la motivazione che si nasconde dietro tanta colorata vivacità. Chi preferisce i toni tenui non ama mettersi in mostra o comunque non ama stare al centro dell'attenzione, rivelando spesso un carattere timido e riservato.

Ci trucchiamo per noi stesse o per gli altri?
Se provate a chiedere a una donna: perché ti trucchi? Quasi sicuramente risponderà: per piacere a me 
stessa e, in parte, è vero. Quando utilizziamo il make up, infatti, scegliamo l'immagine che vogliamo dare di noi e che ci fa sentire a nostro agio ma in realtà non pensiamo solo a noi stesse ma anche ai nostri possibili interlocutori, all'uomo che ci piace o a quello che speriamo di attrarre, ma anche per apparire curate o attraenti sul posto di lavoro o quando usciamo per un aperitivo o una cena. Un modo per valorizzarsi ed esprimere se stesse e la propria personalità, sentendosi bene e a proprio agio.

Una ricerca spiega perché le donne si truccano
Secondo uno studio realizzato dal dottor Richard Russell, professore di psicologia al college di 
Gettysburg in Pennsilvanya (Usa), i trucco servirebbe a rendere più evidenti i contrasti di colore del 
nostro viso che ci fanno apparire più giovani. Il dott. Russell ha studiato le immagini di circa 300 donne tra i 20 e i 70 anni scoprendo che, con il passare degli anni, labbra, occhi e sopracciglia perdono parte del proprio colore mentre la pelle tende a diventare più scura: i contrasti de viso, più evidenti nelle donne giovani, tendono così ad attenuarsi con l'età. Il trucco sarebbe quindi un modo, spesso inconscio, di rendere più visibili questi contrasti, per sembrare giovani più a lungo.

Perché le donne si truccano e gli uomini no?
Quando si parla di trucco si pensa subito alle donne: sono loro infatti ad indossare rossetto, mascara, 
ombretto & company! In realtà però non è del tutto vero che i maschi non si truccano: a parte gli uomini di spettacolo che devono ricorrere al make up per ragioni di lavoro, oggi esistono molti prodotti di bellezza specifici "for men" con intere linee cosmetiche dedicate a lui. Le donne sono però da sempre più legate all'estetica, in passato la donna doveva apparire in un certo modo per essere considerata nella società mentre l'uomo veniva valutato di più per i suoi meriti, per il fare, più che per il suo aspetto: è quindi anche una questione culturale che differenzia i due sessi in questo senso. In alcune tribù africane, però, come quella dei Wodaabe, il trucco viene utilizzato come strumento di corteggiamento: gli uomini usano infatti un make up molto marcato per piacere alle donne, con un vero e proprio rituale di conquista. Certo parliamo di un caso specifico, legato alla cultura di un popolo, ma resta il fatto che nella nostra società tanto le donne, quanto gli uomini, fanno ricorso all'estetica e alla cosmesi: nessuno 
è esente quindi dal fascino di piacere e di piacersi.




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domenica 13 ottobre 2019

Viagra per le Donne

viagra rosa



Una pillola per piacere  Una cura per ringiovanire il desiderio?   O il mix ormonale da ingerire solo se si cerca una notte da non dimenticare?   Il piacere delle donne è ormai un diritto sanitario. E il Viagra rosa un business.

Una pillola per piacere
Una cura per ringiovanire il desiderio?
O il mix ormonale da ingerire solo se si cerca una notte da non dimenticare?
Il piacere delle donne è ormai un diritto sanitario. 
E' il Viagra Rosa un Business.

Agonismo, sponsor, soldi, tifo da hooligan. Il machismo dello sport? Macché, la competizione per migliorare le performance dei più delicati segreti del corpo femminile: l’eccitazione e il piacere. A inizio estate ha debuttato sulle ricette il vincitore ufficiale dell’aggressiva gara per metter a punto il cosiddetto Viagra rosa (e aggiudicarsi un potenziale giro d’affari annuo di 2 miliardi di dollari): le pillole Osphena, firmate dal colosso giapponese Shionogi Inc., il cui principio attivo è l’ospemifene, un modulatore selettivo del recettore dell’estrogeno, che cura l’atrofia vulvovaginale e dunque la dispareunia (dolore durante i rapporti). Più o meno nello stesso periodo lo scrittore Daniel Bergner, in libreria con What Women Want? Adventures in the Science of Female Desire, ha raccontato sul The New York Times che stanno testando la potente coppia di farmaci Lybrido e Lybridos (Emotional Brain, società olandese-americana), presumibilmente in vendita nel 2016: un cocktail di buspirone (ansiolitico) e testosterone che accresce la dopamina e riduce la serotonina. Da prendere “on demand”, quasi un incentivo all’adulterio, dicono gli psicologi. Ma questa è un’altra storia.

Sull’Osphena la Fda, Food and Drugs Administration, ha dato un prezioso benestare che non ha placato le polemiche. C’è chi ha parlato di menopausa medicalizzata a scopo commerciale (dimenticando che la dispareunia non ha a che fare solo con l’età di mezzo), chi di una ricerca del Sacro Graal (come Naomi Wolf, scrittrice femminista) iniziata più o meno quando la mitica pillola blu non solo ha letteralmente risollevato le sorti dei maschi in crisi ma pure stuzzicato gli appetiti di Big Pharma, capace, si sa, di trovare la medicina prima del disturbo, e chi si è indignato perché la terapia ormonale sostitutiva (che in America gode di antipatie più che in Europa), dopo esser stata buttata fuori dalla porta, sarebbe rientrata dalla finestra. La levata di scudi contro l’ennesimo “disease-mongering”, che è il marketing finalizzato all’introduzione di un protocollo terapeutico, era stata già preparata da Camille Paglia («Le inibizioni rimangono cocciutamente interiori. E la lussuria è qualcosa di troppo imperioso per lasciarla al farmacista... »), da Leonore Tiefer, psicoterapeuta e sessuologa, stufa dell’imperante “dittatura dell’orgasmo”, e persino da un documentario di Marc Bennet, Hot Flash Havoc, che con umorismo spiega cosa siano diventati il climaterio e i suoi rimedi. A partire dal fatidico e malinteso rapporto medico del 2002 che ha convinto migliaia di americane a gettare nel water le loro “pilloline magiche”.

«Cerchiamo di capire meglio questa gara per il Lady Viagra perfetto, che non solo non esiste, ma coinvolge sotto quest’etichetta farmaci diversi, adatti a donne, età, problematiche differenti», dice Cesare Battaglia, ginecologo, ricercatore dell’Università di Bologna, autore di studi che hanno testato molecole deputate all’ambito titolo. «Premessa: abbiamo varie sostanze a disposizione e il 60% di donne europee che soffrono di deficit della sessualità, percentuale che sale al 70% in Australia e Usa. E sono donne di ogni età. Si va dai problemi meccanici locali alle patologie ormonali e alle condizioni psicologiche dell’età riproduttiva. E coinvolgono tre fattori chiave - rapporto col partner, condizionamenti ormonali, sfera della libido - , comunque portando alla ribalta un problema di tipo irrorativo e di vascolarizzazione genitale. Detto questo, è dagli anni 70 che si tenta di migliorare la qualità dei rapporti sessuali con la Tos, terapia ormonale sostitutiva, a base di estrogeni e progesterone. Poi è arrivato il cerotto al testosterone (il bugiardino però indica solo le menopause chirurgiche). Poi gli androgeni degli anni 80, coi loro effetti collaterali. Quindi l’ormone Dhea, per via orale o vaginale, di efficacia tenue ma con molte fan negli Usa che lo chiamano “panacea dell’eterna giovinezza”».

Arriviamo così all’Era post Viagra (blu): fa sperare la flibanserina, molecola tedesca della Boehringer, un antidepressivo “fallito” che invece si rivela capace di rimodulare i neurotrasmettitori e riaccendere il desiderio a partire dalla chimica del cervello. Ma nel 2010, non ottiene l’ok definitivo: troppi gli effetti collaterali. Sul trampolino di lancio arriva l’UK-414,495 studiata dalla Pfizer, “molecola dell’eccitazione” che aumenta l’afflusso sanguigno stimolando il nervo pelvico, «un inibitore selettivo che migliora i flussi genitali, liberando una stimolazione nervosa, e la vascolarizzazione. Peccato che i migliori risultati per ora siano stati ottenuti su maschi, ratti e conigli», specifica Battaglia. Nel 2011 è la volta del LibiGel, gel al testosterone della BioSante.

Il 2012 vede la ribalta equamente divisa tra la bremelanotide, l’ormone melanotropo sintetico detto Melanotan II, studiato dall’americana Palatin Technologies, Inc., e il drospirenone, progestinico sintetico a prevalente attività antiandrogenica, contenuto in alcune pillole anticoncezionali (Yasmin, Yaz, Yasminelle). Bene, la bremelanotide delude i medici, ma in compenso entusiasma il pubblico a cui è rivolta, che la battezza “The Barbie Drug”, perché, contemporaneamente, fa dimagrire, abbronza, acuisce le voglie; il che spiega il suo mercato parallelo cinese, che la vende a 13 euro alla fiala (è un farmaco che si inietta). Quanto al drospirenone, peraltro alla base di un ottimo anticoncezionale per le giovani (lo adorano, farebbe calare di peso), è lo stesso Battaglia che ha coordinato una ricerca italiana, citata in ambito internazionale, che ne ha ridimensionato le ambizioni: «Abbassa gli androgeni, fondamentali nella libido». Tutto ciò senza contare i “tentativi” di adattare alle donne, con dosaggi diversi, il Viagra classico e gli altri farmaci col sildenafil come principio attivo (vedi Femigra, il femminile del Cialis): «Un discorso che si è modificato, data la scarsa risposta clitoridea. Hanno dato risultati dosi basse di Cialis abbinate a estrogeni vaginali», spiega il professore. Che forse non sa dell’outing di Kim Cattrall, la scatenata Samantha di Sex and the City, che ha confessato di aver tenuto a galla il terzo matrimonio (ora naufragato) a suon di Viagra.

Tanti contendenti ora battuti dall’Osphena, e tante accuse. Di “pornificare” la cultura femminile, dice la scrittrice Usa Natasha Walter, o di “farmacopornografia”, evocata da Beatriz Preciado, filosofa madrilena che si occupa d’identità e genere,. O ancora, che si tratti di eccitazione erotica provata più dall’industria farmaceutica che dalle donne, come sospetta con garbo Jennifer Block, giornalista e blogger di salute femminile. Alessandra Graziottin, direttore del Centro di ginecologia e sessuologia medica San Raffaele Resnati, a Milano, s’indigna: «Un fondantalismo antiormoni, pregiudiziale, un torto all’intelligenza». Ribatte che l’Osphena, che ha il vantaggio di essere un modulatore di recettori estrogeno-selettivi, e dunque di vantare un’attività estrogenica sui tessuti vaginali e non estrogenica sugli altri tessuti (diminuisce il rischio di tumori ormonodipendenti, per esempio al seno), ha dunque solo una possibilità terapeutica in più rispetto a quello che, dice, «avevamo già». «L’Osphena è l’ultimo della serie. Dopo la menopausa la carenza di estrogeni sovverte l’ecosistema vaginale, e il dolore nei rapporti è lo stimolo riflesso che più inibisce l’eccitazione. La mucosa non “risponde”, se non a un nuovo partner. E noi possiamo curare per via topica invece che sistemica, con terapia ormonale estrogenica locale, in vagina, senza compresse: estrogeni naturali (estriolo, estradiolo) o sintetici (promestriene), più una pomata al testosterone, io la chiamo la “Magic Cream”. Gli ormoni evocano il demonio, ma è la dose che fa la differenza, e qui si parla di quantità infinitesimali».

40 anni (quasi) di solitudine?
Il 60-70% delle donne occidentali, di ogni età, soffre di FSD, Female Sexual Disfunction. Su 335 italiane tra i 46 e i 60 anni, il 45,9% lamenta una riduzione del piacere. Attenzione: se una volta la vita media “offriva” alle donne 10 anni di menopausa, il climaterio ora dura circa 35. «Anzi 37!», corregge Alessandra Graziottin, che aggiunge come oggi, più che di aspettativa di vita, si debba parlare di aspettativa di salute (la maggior longevità triplica gli anni di malattia). E le cure della sessualità vanno in questo senso.




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venerdì 11 ottobre 2019

Donne Curde che Difendono la Democrazia

Donne Curde che Difendono la Democrazia

Donne Curde che Difendono la Democrazia

Donne Curde che Difendono la Democrazia

Donne Curde che Difendono la Democrazia

Donne Curde che Difendono la Democrazia

Combattiamo per le Donne 
del Medio Oriente e del mondo, 
Difendiamo i valori dell'umanità

Chi sono le Donne Curde che Difendono 
la Democrazia e la libertà dagli islamisti dell’IS

Donne Curde che Difendono la Democrazia


di
Umberto Mazzantini



Il Vicepresidente del Parlamento europeo Davide Sassolli scrive sulla sua pagina FacebooK. «Sono ore drammatiche, decisive. Nella città siriana di Kobane un manipolo di combattenti curdi, tra cui molte donne, si oppone casa per casa all’avanzata dei fanatici dell’Isis. Sanno benissimo che, se catturate, verranno torturate e decapitate. Ma combattono per la propria terra, per la libertà, per l’umanità. Il mondo si inchini di fronte a tanto coraggio». Quello che scrive l’esponente del PD è vero e giusto, ma da ex giornalista non può non sapere che quelle coraggiose donne Kurde appartengono alle  Women’s Protection Units delle forze di autodifesa dal Partito di Unione Democratica (PYD),  che ha instaurato un governo autonomo nel Rojava (o Kurdistan occidentale siriano), una forza politica di sinistra considerata molto vicina al Partîya Karkerén Kurdîstan  (PKK – Partito dei Lavoratori del Kurdistan), dichiarato organizzazione terroristica dalla Nato, dagli Usa e dall’Italia. Non dice che quelle donne che difendono la democrazia e la libertà di fronte ai tagliagole fascisti dello Stato Islamico (Daesh in arabo) hanno sulle divise la stella rossa comunista e che a fianco a loro ci sono i guerriglieri del PKK infiltratisi in Siria, mentre la Turchia (Paese Nato) impedisce ai kurdi di andare a dar manforte alle loro compagne e compagni assediati dagli islamisti tagliagole e misogini dell’Isis.

La comandante dell’unità  protezione delle donne del YPJ di Kobane, Meysa Ebdo, ha detto che «L’Isis sta cercando di massacrare i civili nella regione e il mondo intero sta guardando», poi ha a invitato tutte le forze politiche del Kurdistan a «mettere da parte le loro differenze e difendere il Kurdistan» ed ha invitato  i giovani a «stare dalla parte della resistenza a Kobane. Questa resistenza sta per demolire i confini».

In un programma andato in onda ieri sera su Med Nuce, la Ebdo ha detto che, dato che lei e le sue compagne sono «in trincea contro l’Isis dal 2 di luglio non siamo in grado di seguire la stampa ed i media, ma ringraziamo tutti coloro che hanno sostenuto la resistenza a Kobane. L’Isis spera di massacrare centinaia di migliaia di curdi nella regione di  Kobane. Stiamo resistendo contro questo. E il mondo tace. Le organizzazioni per i diritti umani sono rimaste silenti di fronte alle nostre richieste. Ciò dimostra che l’Isis non sta lavorando solo per se stesso. L’Isis viene utilizzato come strumento per fare in modo che i Kurdi rinuncino alla loro a volontà».

Questa coraggiosa comandante di un battaglione di eroiche donne musulmane e di alte religioni racconta cosa sta succedendo nella fascia di territorio kurdo che divide la Turchia dal proclamato Stato Islamico: «Molti dei nostri amici, maschi e femmine, sono stati martirizzati mentre resistevano contro questi attacchi. Attualmente, migliaia di nostri combattenti sono nei campi di battaglia dove fanno storia. Abbiamo evacuato i civili dai villaggi che erano sotto attacco. Chiunque sia abbastanza in forma per portare armi lo ha fatto per proteggere le nostre case e terre. Tutti dovrebbero sapere che non permetteremo a queste bande di avere successo. Chiunque sia dietro queste bande, qualsiasi arma tecnologica possiedano, non ci riusciranno. Da qui in poi, nessuno può far fare un passo indietro al  popolo kurdo».

Ebdo, prima di tornare a combattere i fascisti islamisti ha ricordato che «Questi attacchi non sono solo contro Kobane e la sua gente, ma contro la volontà del popolo kurdo. Vorremmo che tutti i partiti politici e le organizzazioni del Kurdistan capissero che questi attacchi sono contro di loro. Quella che viene attaccata a Kobane è l’idea del Kurdistan. Vorremmo invitare tutti i partiti politici a mettere da parte le loro differenze ed a proteggere il Kurdistan».  Intanto, il 26 settembre, un gruppo di anarchici turchi di Istanbul sarebbe riuscito a traversare la frontiera turca ed a raggiungere  Kobane, creando una sorta di battaglione internazionale che rimanda alla guerra civile spagnola, speriamo che anche questa volta non vincano i fascisti.

Jacques Berès, chirurgo e co-fondatore di Médecins Sans Frontières e Médecins du Monde, tornato da una missione umanitaria nell’area della  battaglia nel Rojava, ha detto: «Faccio questo lavoro da più di quarant’anni, ma quello che ho effettivamente visto nelle ultime settimane in Siria è peggio di qualsiasi cosa io abbia mai visto in tutta la mia vita. Se i paesi occidentali non agiscono immediatamente ci sarà  sicuramente un genocidio. La guerra in Siria è orribile.  Ho visto corpi bruciati, strappati a pezzi, senza braccia o gambe, la maggior parte dei quali civili. Il mio lavoro, durante una missione di due settimane, è inadeguato rispetto al lavoro richiesto. Non ho potuto effettuare più di 7 o 8 interventi chirurgici al giorno. Ma ogni attacco da parte dei  jihadisti dell’Isis causa decine di feriti. Ogni  giorno ci sono decine di questi attacchi.

E tra i combattenti uccisi o feriti per difendere il Rojava dalle orde barbariche dello Stato Islamico ci sono giovani e molte donne.  «La percentuale di donne che combattono nelle file dell’YPG / YPJ ( (People’s Protection Unit)  – ha detto  Berès – è molto alta.  Almeno il 40% dei combattenti gravemente feriti che ho medicato  sono donne. Questa è una caratteristica unica della regione. Le strutture della società curda sono laiche, il ruolo delle donne è molto importante, a capo di ogni istituzione di solito ci sono un uomo e una donna, una visione che è in contraddizione con la misoginia tipica di questa zona del Medio Oriente. Questo punto di vista si scontra anche con il fondamentalismo dogmatico dell’Isis. Ero solo un chilometro di distanza dal fronte di battaglia e ho visto le donne ed i giovani combattenti respingere gli assalti dei jihadisti con semplici fucili semplici e kalashnikov.  I combattenti  sono armati di coraggio e spesso provengono da Kurdistan turco per aiutare la resistenza nel Rojava. Ma sono dotati solo di vecchi  kalashnikov».

La questione delle armi, non è secondaria: le bande islamo-fasciste dell’Isis attaccano le milizie della sinistra kurda con  carri armati, lanciamissili, veicoli blindati e armi pesanti. D’altra parte le donne e gli uomini kurdi sono equipaggiati solo con kalashnikov e lanciarazzi. «Dove sono le armi che l’Occidente  (Italia compresa, ndr) ha promesso di consegnare? – si chiede Berès – Non abbiamo visto le armi occidentali qui ,  invece non  solo abbiamo visto jihadisti provenienti dalla Turchia, ma anche carri armati che passano attraverso il confine turco. La Turchia continua ad avere un comportamento ambiguo a causa degli interessi  strategici ed economici coinvolti».

Infatti il Rojava- Kurdistan Occidentale è una terra ricca di petrolio, cosa che attira l’interesse non solo dello Stato Islamico/Daesh, ma anche dela Turchia. «In questa regione – spiega Berès – ci sono 1.173 campi petroliferi. La maggior parte dei quali erano operativi prima della guerra civile. Più del 60% del petrolio siriano proveniva da questa regione. Oggi sono chiusi ma il loro potenziale energetico è molto alto. Prima della guerra civile, questa regione era tra le più prospere e tolleranti di tutta la Siria. Qui si trovano  moschee o sinagoghe. Se l’Isis prenderà il controllo del Rojava sarà la fine di tutto questo».

Ma Kobanê è completamente circondata «Ora è come un enclave. Nella regione abbiamo visto venire la FSA (Free Syrian Army), il Fronte Al Nusra, ora la città di Kobanê è assediata dalle squadracce dell’Isis. Il problema è che il confine con la Turchia rimane chiuso e la Turchia ha costruito un muro alto 5 metri. Niente armi, niente medicine, nemmeno un sacchetto di riso o un litro di latte passa attraverso il confine. La Turchia blocca ogni convoglio. Così i Kurdi combattono da soli, sono intrappolati tra soldati turchi e le bande dell’Isis  e non possono fuggire nessuna parte. Ma una cosa è certa: se la città di Kobane cadrà nelle mani dell’Isis, la Turchia avrà un’enorme responsabilità nel genocidio che ne seguirà». E con la Turchia la Nato e gli altri Paesi suoi alleati, compreso il nostro. Invece l’esercito turco impedisce a migliaia di giovani, socialisti, sindacalisti, comunisti, rivoluzionari, femministe, libertari, provenienti da tutta la Turchia, di passare il confine per andare a  Kobane a sostenere i rifugiati e le milizie kurde che difendono la città dai fascisti del Daesh.

Intervenendo al meeting  dell’International Political Women’s Council in Germania, la co-presidente dell’Assemblea popolare del Rojava, Sinem Muhammed, ha ricordato che «La YPJ (Woman’s Protection Units) sta lottando per conto di tutte le donne del Medio Oriente e del mondo. Ora io  sono qui, però nel mio paese le donne si trovano ad affrontare la minaccia di un massacro su larga scala. La Rivoluzione del Rojava, con le Assemblee delle sue donne, le accademie e le case delle donne è una rivoluzione delle donne. Insieme alle altre ragioni, questo è uno dei motivi principali per spiegare perché l’Isis  sta attaccando Rojava».

Muhammed, rivolgendosi alle democratiche donne occidentali ha ricordato  per cosa stanno combattendo le “comuniste” kurde: «Resistendo a questo attacco, l’YPJ combatte  contro l’Isis  per conto di tutte le donne del Medio Oriente e del mondo. I ranghi dell’YPJ sono costituiti da donne di diverse fedi ed etnie, tra cui curde, arabe, assire, Yezide e cristiane».

La Muhammed ha concluso: «Oggi si potrebbe pensare che l’Isis sia  lontano dall’Europa. Tuttavia, questa è una minaccia contro tutte le donne del mondo. Il silenzio deve essere rotto. Oggi, nel Rojava  l’YPG e il YPJ stanno difendendo i valori dell’umanità».



Terrore turco.
Erdogan lancia l’attacco, bombe e cannonate sulle città curde
Ieri appena i soldati statunitensi hanno evacuato 
le due postazioni frontaliere di Ras al Ayn e Tal Abyad, 
la Turchia ha dato inizio alla “Operazione fonte di pace" 
– così l’ha chiamata il Erdogan - contro il popolo curdo ...  

Terrore turco.  Erdogan lancia l’attacco, bombe e cannonate sulle città curde  Ieri appena i soldati statunitensi hanno evacuato   le due postazioni frontaliere di Ras al Ayn e Tal Abyad,   la Turchia ha dato inizio alla “Operazione fonte di pace"   – così l’ha chiamata il Erdogan - contro il popolo curdo



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martedì 1 ottobre 2019

Chi è Greta Thunberg


gli imbecilli tuttologi contro il suo autismo

 gli imbecilli tuttologi contro il suo autismo 


In fin dei conti è molto più semplice classificare l’altro come “diverso” piuttosto che rimboccarsi le maniche: sapere in partenza che tu sei socialmente percepito come mancante in qualcosa, come svantaggiato rispetto a me, è rassicurante e fa sentire più bravi e più capaci. Più giusti e al sicuro.
Raccomandata viziata illusa rompipalle inquietante e autistica. Letto così, tutto d’un fiato, come fossero insulti equidistanti tra loro. Sono solo alcune delle definizioni appioppate a Greta Thunberg da quando, negli ultimi mesi, la ragazzina ha scatenato un effetto domino di legioni di imbecilli tuttologi e scienziati-da-divano, subito pronti a riprodursi per scissione 
come batteri per poi dividersi tra pro e contro.

la ragazzina ha scatenato un effetto domino di legioni di imbecilli tuttologi e scienziati-da-divano, subito pronti a riprodursi per scissione   come batteri per poi dividersi tra pro e contro.

Rattrista come a sollevare i pregiudizi più alti siano proprio le generazioni più vecchie, quelle con maggiori responsabilità sulle spalle circa il problema ambientale e l’apparente – ma neanche troppo – mancata volontà di trovare soluzioni e porre o proporre rimedi. Si scade dunque nel benaltrismo, che guai a mettersi in discussione una buona volta, gridando subito al complotto e alla moda, al personal branding di povera figlia “ritardata” burattina della fame dei genitori.

Si finisce coi poteri forti, che quelli non mancano mai come dessert. E con il marketing 2.0 perché adesso esce pure il libro e figurati se non usciva pure il libro che tanto mica l’ha scritto davvero lei il suo libro. Si diventa tutti economisti e editori, ma anche sociologi e ambientalisti, attivisti e missionari. Santi scesi miracolosamente in terra nonostante il manuale di biologia sotto braccio.

Desueti come stantia è la necessità di etichettare tutto, 
in modo spasmodico, e infatti non trova scampo neanche la disabilità di Greta, la sua “sindrome di 
Asperger” che diventa un pilastro di demerito anziché un valore aggiunto per il modo in cui, 
tenacemente e senza distrazioni, sta cambiando la narrazione di un’esigenza universale. E lo sta 
facendo lottando anche contro quello che lo spettro stesso del suo autismo le rende complicato, a 
partire dalle cose per noi scontate e banali.

In fin dei conti è molto più semplice classificare l’altro come 
“diverso” piuttosto che rimboccarsi le maniche: sapere in partenza che tu sei socialmente percepito 
come mancante in qualcosa, come svantaggiato rispetto a me, è rassicurante e fa sentire più bravi e più capaci. Più giusti e al sicuro. Perché sì, è vero, a Greta milioni di persone hanno dato un salvagente per stare a galla, ma io so nuotare benissimo
 e tanto i salvagenti prima o poi si forano sempre. No?

Se invece aveste speso le stesse energie consumate a screditare un messaggio così pulito, infangando il sorriso di Greta che poi è quello di mia sorella e di tutti i vostri figli, per imparare, magari, a fare finalmente la raccolta differenziata, forse vivremmo in un mondo più pulito e in armonia con ciò che ci circonda. E soprattutto con chi riteniamo tanto alieno e invece, a fatti avvenuti, è più presente di noi sulla realtà delle cose. Tutto il resto è il fascismo di chi si ostina a voltarsi dall’altra parte.

listen to science


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venerdì 27 settembre 2019

Maleducati, Ineducati, Timidi, Distratti

Maleducati, Ineducati, Timidi, Distratti



"Buongiorno"...come se nulla fosse. "BUONGIORNO". "Buongiorno". E tra me e me: "Ecco, ora hanno sentito!" Quante volte vi capita di entrare da qualche parte, al tabacchino, all'edicola, al bar, in un negozio, e pensare di avere a che fare con un audioleso? O anche di salire sull'ascensore, e di salutare lo specchio, mentre chi c'è già dentro è una sfinge impenetrabile? Tempo fa, al bar che frequento abitualmente, vicino casa, c'era un uccellino 
che spesso entrava e cominciava a girare di qua e di là. 

Cercava mollichine, e dopo averne ripulito il posto fino all'ultima, usciva come era entrato, senza un 
cinguettio, e volava via. L'uccellino è stato sostituito da un signore il quale, varcata la soglia del bar, si avvicina al banco, consuma, poi si siede a dare un'occhiata al giornale,
 infine paga alla cassa e va via. 

Senza aprire bocca se non per chiedere un caffè, un cornetto. Hai dei baffetti sotto una testa calva, e 
porta dei mocassini che producono un ticchettio mentre si muove per tutto il locale. Questo è l'unico 
segno audio della sua presenza, oltre alle parole che pronuncia per avere ciò che gli serve. Tanto che 
all'inizio pensavo fosse muto, e che avesse fatto ricorso a un logopedista per farsi insegnare come dire "cornetto" e "caffè", per consentirgli di districarsi almeno al bar. Un giorno, invece, l'ho sentito 
colloquiare con altre persone davanti all'ingresso. Dapprima ho pensato che si fosse procurato un 
ventriloquo che parlava al posto suo, mentre lui muoveva solo le labbra. Ma, avvicinandomi, ho 
appurato che no, era proprio lui parlare, e che non era muto, ma solo maleducato o ineducato (la 
differenza è importante: il primo termine denuncia una responsabilità dei genitori, il secondo è più 
neutro: me lo ha insegnato mia madre da piccolo). 


 Nella mia famiglia, a proposito, siamo stati abituati a salutare, e a dire grazie e prego, da bambinetti. 

Mia madre adottò un metodo infallibile: quando ci teneva per mano, se non ci comportavamo in maniera educata non diceva niente, e nulla della sua disapprovazione trapelava dal suo viso. Si limitava a stringerci la manina così forte da rischiare di rimanerci storpi a vita. Tra le buone maniere e l'eventualità di una mano offesa abbiamo scelto senza esitazioni le prime. Poi ci sono i colleghi e le colleghe ai quali, incontrandoli nel corridoio, rivolgi perlomeno un cenno di saluto. 
Alcuni di loro, avendo forse i "Ciao" o i 
"Buongiorno" contati, e temendo di non averne abbastanza fino alla fine dei loro giorni, ti passano 
accanto senza degnarti di uno sguardo. Altra situazione simile quando cedi il passo, o apri la porta e 
aspetti che qualcuno la attraversi prima di te. Il qualcuno, invece di ringraziarti a parole o inclinando il capo, procede come se tu fossi il portiere dell'albergo e stessi facendo solo il tuo dovere, non sapendo che anche il portiere è un essere umano e sarebbe il caso di non farlo sentire un manichino. E in strada? Vedi un pedone fermo davanti al marciapiede, lontano dalle strisce, e fermi la macchina per farlo attraversare. Il pedone (più spesso una donna che un uomo, e ancora più di sovente una ragazza) ti sfila davanti perso non nei suoi pensieri, ma nella sua male/ineducazione. Al che ti viene la voglia di corrergli dietro e metterlo sotto, così almeno ti guarderà in faccia per insultarti. E quando ti dicono: "No, guarda, non lo fa per male, è distratto" oppure "E' timido". Ho capito, quindi è distratto e si dimentica di mangiare, o di bere? Perché il comportarsi in maniera educata e rispettosa deve essere considerato meno importante delle normali attività quotidiane?

 E' timido: poi, caso strano, se si tratta di chiedere un favore, o se il timido si deve rivolgere a qualcuno col quale non si può permettere di essere meno che educato, si trasforma fatalmente in uno zerbino, tutto sorrisi, grazie, prego, si figuri, si accomodi, dopo di lei: timidi come le luci dell'albero di Natale, a intermittenza. E così ti capita che la collega che incontri ogni giorno e si gira dall'altra parte per non correre il rischio non di salutare, ma di essere salutata, un giorno ti tocca la macchina a un incrocio dove ha lo stop. Tu scendi, la riconosci, e già sul tuo viso si disegna un ghigno da Jocker: ora ti faccio pagare tutte le volte in cui non mi hai calcolato, neanche avessi la lebbra. Il danno è lieve, ma c'è e si vede. Lei, improvvisamente dolce da far venire un diabete fulminante: "Scusa, ma va bene, non si è fatta niente" e poi, senza ritegno: "E siamo pure colleghi, non mi hai riconosciuta?". Al che ti verrebbe da rispondere che non l'hai mai vista, da andare in macchina e prendere il modello per l'assicurazione e farglielo firmare seduta stante. Però sei buono, e non vuoi farle pagare il malus. Ma buono fino a un certo punto. "Siamo colleghi? Ma siamo colleghi ora che mi hai investito con la macchina, o tutti i giorni? No, perché se siamo colleghi e ci conosciamo, non mi spiego 
perché non saluti mai". "No, fa lei, ma sai, andiamo sempre di fretta". "Sì, anche oggi, tanto che mi hai investito". "Va bene, sempre col sorriso stampato in faccia, ma la macchina non si è fatta niente". "Va bene, lasciamo stare, andiamocene. Ci vediamo a lavoro. Buona giornata". "Grazie davvero, ciao". Da quel giorno, mi saluta a un chilometro di distanza. E, quando si avvicina, le guardo la mano: per vedere se ci sono i segni della stretta tipo quella di mia madre.


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