Il principe del Galles rende visita ai fedeli alleati e monarchi del Medio Oriente. Anche ai Saud finti riformatori sociali, a cominciare dai diritti delle donne
- E così, re Abdallah non ha un cuore di pietra. Non costringerà Camilla, duchessa di Cornovaglia e consorte del principe Carlo, a coprirsi interamente durante la sua visita in Arabia Saudita prevista la prossima settimana. In quanto ospite, infatti, le verrà assicurato un trattamento d'eccezione. Non è andata altrettanto bene alle giornaliste che accompagneranno la coppia reale nel tour mediorientale, nove giorni tra Riyadh, Doha, Amman e Muscat : loro, nel regno saudita, non potranno mostrare nemmeno un brandello di carne.
La visita - la nona del principe di Galles nel regno wahhabita dal 1986 - ha l'obiettivo di rafforzare ancora di più le già ottime relazioni bilaterali della Gran Bretagna con il guardiano sunnita del Medio Oriente. Si parlerà di cooperazione militare, religione, educazione, commercio - Londra è al primo posto nelle importazioni verso Riyadh - e, soprattutto, di opportunità per le donne. Non è a caso, infatti, che i reali britannici faranno un tour della Shura, l'organo consultivo spacciato per Parlamento in cui recentemente - tra proteste e polemiche - hanno preso posto anche 30 donne.
Complici le timide seppur audaci aperture di re Abdallah verso le donne - diritto di voto concesso nel 2011, possibilità di presentarsi alle elezioni comunali del 2015 e diritto, per le avvocatesse, di entrare in un tribunale - Londra, assieme al mondo occidentale, spera che il suo più fidato amico nel mondo arabo riesca pian piano a uscire dall'imbarazzante conservatorismo che lo caratterizza. Per rinfrescare a tutti la memoria, ci ha pensato ieri Amnesty International a tratteggiare, punto dopo punto, il quadro della situazione nel primo produttore mondiale di petrolio.
In cima alla lista troviamo la pena di morte. Il regno saudita è ai primi posti per numero di esecuzioni - 17 solo nei primi due mesi del 2013, 80 nel 2012 - e sicuramente detiene il primato per il tipo di crimini a cui la pena di morte si applica: uso di droga, apostasia, stregoneria e magia. I metodi utilizzati per l'esecuzione sono anch'essi un primato di Riyadh: lapidazione, crocifissione, decapitazione. Non la scampano né i minori - il diritto internazionale vieta di condannarli a morte - né i lavoratori stranieri, i quali non possono contare sulla diplomazia né sulla clemenza, specie se il loro "reato" è stato commesso contro un cittadino saudita. Ne sa qualcosa l'Indonesia, che ha tentato inutilmente di salvare una sua cittadina condannata dalle autorità saudite per aver ucciso il proprio datore di lavoro che abusava di lei.
Riyadh è anche tristemente famosa per il suo sistema giudiziario, che include processi segreti e nessuna informazione sui detenuti. I processi ingiusti sono all'ordine del giorno. Agli imputati è spesso negata la tutela legale e generalmente i loro parenti non vengono informati dell'andamento del processo. Regina della giustizia made in Saudi Arabia è la tortura, incoraggiata dalla totale impunità dei torturatori e dall'accettazione della corte di confessioni estorte con la violenza. I metodi usati variano molto: dall'uso di elettroshock alle botte, dalla privazione del sonno alla sospensione per giorni al soffitto. La tortura è usata anche per punire coloro che rifiutano di pentirsi per aver criticato le autorità.
Un trattamento speciale è riservato infatti agli "attivisti anti-governativi". Le proteste sono vietate e chi osa criticare pubblicamente il Regno viene incarcerato senza alcun capo d'accusa per un tempo indeterminato - di solito in isolamento - e non può sperare nell'assistenza di un legale. Solo la grazia di un membro della famiglia reale può salvarli dal carcere e dalla pena di morte, previa firma di un documento che attesti la loro rinuncia alla critica e all'attivismo. Lo scorso gennaio, ad esempio, sei riformisti sono stati graziati dal Ministro degli Interni: erano stati posti in detenzione amministrativa tre anni prima.
Nonostante le aperture di re Abdallah, la condizione della donne rimane una delle più deprecabili del mondo. La maggior parte di loro è ricca e istruita, vero, ma la donna saudita deve chiedere il permesso a un uomo della famiglia per viaggiare, studiare, lavorare e sposarsi. Non possono guidare, né andare in bicicletta, né uscire da sole. E la violenza domestica, secondo i dati di Amnesty International, è una pratica comune quanto la preghiera.
DA
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