Un comunicato di Amnesty International
racconta di donne arrestate,
torturate ed umiliate
solo per aver chiesto più partecipazione
Chiedevano partecipazione, rivendicavano i diritti per cui loro stesse erano scese in piazza nei giorni della rivolta anti-Mubarak: per questo sono state arrestate e torturate. Botte, scariche elettriche, umiliazioni e “test di verginità” sotto la minaccia di essere incriminate per prostituzione: il destino di almeno diciotto donne egiziane, fermate dai soldati dopo aver preso parte ad una manifestazione in Piazza Tahrir fa pensare ad anni che sembravano essere stati spazzati via dalle rivolte e che invece si ripresentano anche oggi, una volta spenti gli entusiasmi di quella rivoluzione che ha sollevato il popolo egiziano.
Le donne sono state arrestate il 9 marzo nel corso di una protesta pacifica contro la mancata partecipazione femminile nella stesura delle modifiche alla Costituzione egiziana:  una situazione, questa, che aveva spinto molte delle donne che avevano  avuto ruolo attivo nelle rivolte a votare no al referendum di modifica  della Costituzione, a costo di passare per nostalgiche del regime di  Hosni Mubarak. L’esclusione del mondo femminile dai nuovi organi costituzionali era infatti stata letta come un’esplicita volontà di rinnegare i valori stessi per cui uomini e donne, insieme, erano scesi in piazza:  libertà, democrazia e parità di diritti. Gli arresti paiono aver  amaramente confermato quest’impressione. «E’ un segnale estremamente  negativo – ha affermato al riguardo Riccardo Noury, portavoce italiano  per Amnesty International intervistato da Diritto di Critica– perché significa che le donne che sono state protagoniste del cambiamento sono state rimesse nel posto dove la cultura dominante le vuole tenere, cioè lontane dalle piazze.  Gli arresti e le torture abbassano la dignità umana e appaiono come una  punizione specifica contro le donne in quanto tali, proprio perché  hanno osato prendere la parola e chiedere un cambiamento».
Rasha Azeb, una  giornalista arrestata insieme alle altre donne, ha riferito ad Amnesty  International di essere stata ammanettata, picchiata e insultata: le  prigioniere sarebbero state dapprima portate in un locale del Museo del  Cairo, e poi percosse,  colpite con l'elettricità al petto e alle gambe e  chiamate "prostitute". «Sentivo le urla delle detenute mentre venivano  torturate», ha raccontato all’organizzazione per i diritti umani. Una  denuncia simile a quella di Salwa Husseini, 20 anni,  condotta con le altre nel carcere militare di El Heikstep, nel Cairo: secondo la sua testimonianza le donne trovate “non vergini” sarebbero state accusate di prostituzione.  Una donna che aveva dichiarato di essere vergine, e per la quale il  test ha provato il contrario, è stata colpita con ulteriori scariche  elettriche. Delle diciotto arrestate, Rasha Azeb è stata rilasciata a  poche ore dall’arresto assieme ad altri colleghi giornalisti, mentre le  altre sono comparse l’11 marzo davanti ad un tribunale militare e  rilasciate due giorni dopo. Solo alcune di esse sono state condannate ad  un anno di carcere, ma la pena è stata sospesa. Salwa Hosseini invece è  stata giudicata colpevole di distruzione di proprietà pubblica e  privata, ostacolo alla circolazione, possesso di armi e “condotta disordinata”. «Si  tratta di un reato penale con una sfumatura morale – spiega Noury – e  di un mezzo per gettare discredito sulle donne che hanno manifestato: un  po’ come dire a tutti “guardate, quelle che sono scese in piazza non  erano donne per bene ma prostitute”. Un modo, insomma, per delegittimare la loro protesta e le loro richieste».
L’accaduto, su quale Amnesty International ha chiesto al governo egiziano di fare chiarezza, si configura come una vera e propria continuità con il regime di Mubarak.  «Gli stessi soldati che a piazza Tahrir erano stati accolti come  liberatori, adesso portano avanti queste deprecabili pratiche. –  continua Noury – Per correggere la Costituzione bastano pochi  giorni, ma per cambiare atteggiamenti radicati e accettati per decenni  possono servire anni: tuttavia senza una presa di posizione  netta e decisa del governo egiziano c’è il rischio che nulla cambi  veramente. Ad oggi, - conclude Noury - l’unico segnale delle autorità  verso episodi simili è la totale accondiscendenza e impunità per i  colpevoli».
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