Le donne dicono basta , Se non ora, quando?
Se fai la brava, potresti anche ottenere un seggio in parlamento... Non c'è bisogno di essere filosofi per capire quanto disprezzo circonda oggi la donna.
Bella immagine dell'Italia! Per chi sembrava ossessionato dall'idea che ci si poteva fare all'estero del nostro Paese, accusando alcuni intellettuali di "tradire l'Italia" con i propri libri e i propri articoli, il risultato è eccellente.
Perché ovunque, ormai, non si parla d'altro che delle serate "bunga-bunga" del nostro premier. Di Ruby e di Iris. Di seni e di raccomandazioni. Di prostitute minorenni "ricoperte d'oro" per tenere la bocca chiusa... Bella immagine della donna. Ma anche dell'Italia, che per anni ha chiuso gli occhi di fronte al baratro in cui le donne stavano precipitando. Perché ormai non si tratta nemmeno più della semplice trasformazione della donna in un corpo-immagine, ma della sua progressiva e inevitabile riduzione ad un corpo "usa e getta". Ormai ci siamo. Di nuovo impigliati nelle patetiche reti degli Arcana Imperii: segreti, corruzione, orge. Forse è per questo che non si può più restare zitti, e che nei prossimi giorni ci saranno numerosi appuntamenti per dire "basta". Basta, lo diranno tra gli altri Eco, Saviano e Zagrebelsky il 5 febbraio a Milano, durante la manifestazione organizzata da Libertà e Giustizia. Basta, lo ripeterà il giorno dopo il Popolo Viola. Basta, lo dirà la Procura di Milano, lo scandiranno tantissime donne, in tutte le città italiane, il 13 febbraio... Il re è ormai nudo. Se non scendiamo in piazza ora per difendere dignità, uguaglianza e rispetto, quando?
Negli ultimi anni, sembra di aver assistito ad un film X senza fine. Un interminabile film pornografico in cui tutto si riduce a "ripetizione", "performance" e "accumulazione". In cui uomini e donne sono perfettamente complementari: attività e passività; potere e disponibilità. In cui si moltiplicano le scene dove "i maschi si accaniscono su un pezzo di carne femminile", per usare le parole di John B. Root, il celebre produttore francese di film X, quando descrive la propria "opera". In cui "una vale l'altra", l'una "scaccia" l'altra, e nessuna, in fondo, conta granché. Perché sono solo gingilli intercambiabili. E quando qualcuna non serve più, c'è subito una new entry. Peccato, però, che non si tratti di una semplice fiction. Peccato che sia la fotografia, questa volta non ritoccata dal nostro premier, dell'Italia di oggi...
Ed è inutile che qualche moralista da strapazzo commenti cinicamente che tutto ciò non è altro che il risultato della liberazione sessuale, la conseguenza inevitabile dell'io sono mia. Perché quando le donne si sono battute per rivendicare la libertà di disposizione del proprio corpo, lo scopo era quello di riappropriarsi del proprio destino, di diventare attrici della propria vita, di evitare che altri decidessero al posto loro come vivere, cosa fare, come comportarsi. Ma affinché la libertà non resti solo un valore astratto e non si trasformi, col tempo, in una nuova forma di "servitù volontaria", come spiegava già nel XVI secolo il filosofo francese Etienne de La Boétie, è necessario organizzare le condizioni adatte al suo esercizio, prima tra le quali l'uguaglianza. Se le donne non hanno gli stessi diritti che hanno gli uomini e se non hanno la possibilità materiale di farli valere, automaticamente non possono essere libere di scegliere ciò che vogliono o di realizzare ciò che desiderano. Che libertà esiste allora in un paese che tratta le donne come merce, che le umilia quando si ribellano, che le "ricopre d'oro" quando si prostituiscono ancora minorenni perché tacciano?
Dal "sii bella e stai zitta" siamo arrivati al "venditi e taci": dimenticati di essere una persona, spogliati, fammi gioire ed io farò di te una donna ricca e famosa! Se fai la brava, potresti anche ottenere un seggio in parlamento... Non c'è bisogno di essere filosofi per rendersi conto del ricatto. Per capire quanto disprezzo circonda oggi la donna. Come se, nonostante tutte le battaglie fatte nel corso degli anni Sessanta e Settanta per garantire alla donna uguaglianza e dignità, per liberarla dal giogo millenario della sottomissione e dell'inferiorità, la donna non potesse essere altro che un oggetto di cui l'uomo deve poter disporre a piacimento. "Tutto" è semplice. "Tutto" va da sé. Inutile perdere tempo con ridicole manfrine...
Quello che ognuno di noi fa nella propria camera da letto, col proprio uomo o con la propria donna, non riguarda nessuno. Ma quando la sessualità diventa una tangente, quando si utilizza il proprio potere per fare della donna un giocattolo, quando si pensa di farla franca perché in fondo le donne non contano niente... allora è in atto un processo di disintegrazione della società. Perché, per parafrasare Albert Camus, il valore di una società dipende anche da come vengono trattate le donne. Dall'immagine che se ne ha. Dal margine di manovra di cui dispongono. Come giudicare allora un paese in cui, trattando la donna come una semplice merce, vengono umiliare tutte coloro che si battono quotidianamente per difendere la propria dignità, per acquisire le competenze necessarie per ottenere posti di responsabilità, per mostrare che sono efficienti e affidabili? "Più è disperata meglio è, per lui", avrebbe detto Nicole Minetti, oggi indagata con il premier per induzione alla pornografia. Bella lezione di civiltà per le nostre giovani!
Ma ormai il tempo del silenzio è finito. Perché le donne che si indignano sono sempre più numerose e vogliono farlo sapere. E molte si stanno mobilizzando per la manifestazione del 13 febbraio in tutte le città italiane. Le organizzatrici hanno d'altronde ragione: se non ora, quando? Nonostante le intimidazioni. Nonostante le derisioni. "È tutta colpa della gnocca", sproloquiava Il Giornale qualche mese fa. "Scusi in che senso?" chiedevo a Feltri recentemente durante una puntata dell'Infedele. Ma l'Italia di oggi è ancora questo. Cambiare le carte in tavola. Far passare gli aguzzini per le vittime. Colpevolizzare di nuovo, e sempre, le donne. Dopo aver rubato loro l'anima. Dopo averle ridotte a "corpi usa e getta". Allora sì, è il momento di reagire e di trasformare l'indignazione in azione. Se non ora, quando?
di Michela Marzano
http://www.repubblica.it
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