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venerdì 29 ottobre 2010

il tempo che si impiega a innamorarsi


Dammi solo un quinto di secondo


In base ai risultati di uno studio della Syracuse University, pubblicato sul Journal of Sexual Medicine, e' il tempo che si impiega a innamorarsi di una persona.
In un quinto di secondo si attivano ben 12 diverse aree cerebrali che lavorano insieme per rilasciare sostanze chimiche naturali che danno euforia, come dopamina, ossitocina e adrenalina.
Poi ci si lamenta che gli uomini vanno subito al sodo...


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domenica 24 ottobre 2010

definizione filosifica di desiderio




Cos'è il desiderio? Non è una domanda difficile, penso che ognino di noi pur senza essere un filosofo ritenga di sapere cos'è il desiderio. Ma come porsi davanti al desiderio? è una cosa positiva o negativa? Bidogna cedergli cercando di soddisfarlo o resistergli? Queste sono le domande che hanno impegnato i filosofi per secoli. Noi possiamo godere di alcune brevi perle di saggezza che cono un distillato di queste riflessioni semplicemente leggendo aforismi sul desiderio.

La definizione filosifica di desiderio è: "Desiderio è uno stato di affezione dell'io, consistente in un impulso volitivo diretto a un oggetto esterno, di cui si desidera la contemplazione oppure, più facilmente, il possesso. La condizione propria al desiderio comporta per l'io sensazioni che possono essere dolorose o piacevoli, a seconda della soddisfazione o meno del desiderio stesso. Dolore morale per la mancanza della persona amata o dell'oggetto o condizione di cui si ha assolutamente bisogno. Ma anche la gradevole e coinvolgente sensazione di poter presto rivivere un momento o situazione in qualche modo piacevole, che la mente riesce a rievocare in modi più o meno evanescenti e/o realistici rispetto alle percezioni dell'esperienza effettivamente vissuta."
Come divevo in precedneza la formulazione filosodica non fa che formalizzare un concetto che tutti abbiamo in linea di massima presente. Una fonte interessante di riflessioni sul desiderio è l'etimologia della parola: sapevate che desiderio deriva da sidus/sideriis vale a dire costellazione (in seguito stella)? Gli antichi guardavano alle stelle come punto di riferimento, la particella de è privativa, quindi il significato del termine guardando all'etimolgia sembra negativo, in quanto vuol dire essere disorientato, accecato, dalla mancanza di qualcosa. Quindi desiderio uguale rimpianto, ma rimpiangere ciò che è buono significa anche mettersi nella disposizione d'animo di cercare di ottenrlo e quindi la parola può caricarsi anche di una valenza positiva.


Aforismi sul desiderio:

- Ci sono due tragedie nella vita: non riuscire a soddisfare un desiderio e soddisfarlo. (Oscar Wilde)

- Chi ha meno di quanto desidera deve sapere che ha più di quanto vale. (Georg C. Lichtenberg)

- L'amore è il desiderio fattosi saggio. (Hermann Hesse)

- Ogni umana attività è indotta dal desiderio. (Bertrand Russell)

- Il desiderio è l'essenza dell'uomo. (Benedetto Spinoza)

- Nulla è più facile che illudersi, perché ciò che ogni uomo desidera, crede anche che sia vero. (Demostene)

- Non si desidera mai ardentemente ciò che si desidera solo con la ragione. (François de La Rochefoucauld)

- Prima di desiderare fortemente una cosa, bisogna verificare quanto sia felice chi la possiede. (François de La Rochefoucauld)

- Le cose si ottengono quando non si desiderano più. (Cesare Pavese)

- E' ricco chi desidera soltanto ciò che gli fa veramente piacere. (Alphonse Karr)

- Nulla bramiamo tanto quanto ciò che non ci è consentito. (Publilio Siro)

- La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha. (Oscar Wilde)

- Mai ti è dato un desiderio senza che ti sia dato anche il potere di realizzarlo. (Richard Bach)

- Amore è ogni moto della nostra anima in cui essa sente sé stessa e percepisce la propria vita. (Hermann Hesse)

- Felice è chi è capace di amare molto. Ma amare e desiderare non sono la stessa cosa. (Hermann Hesse)

- Tendiamo sempre verso ciò che è proibito, e desideriamo quello che ci è negato. (Ovidio)

- C'è un solo tipo di successo: quello di fare della propria vita ciò che si desidera. (Henry David Thoreau)

- Tutto l'universo cospira affinché chi lo desidera con tutto sé stesso possa riuscire a realizzare i propri sogni. (Paulo Coelho)

- L'uomo è una creazione del desiderio, non del bisogno. (Dalai Lama)

- E' nella natura del desiderio di non poter essere soddisfatto e la maggior parte degli uomini vive solo per soddisfarlo. (Aristotele)

- Non si debba desiderare lo impossibile. (Leonardo da Vinci)

- L'amore non ha altro desiderio che quello di realizzarsi, ma se amate ed è inevitabile che abbiate dei desideri, fate in modo che essi siano questi: svegliarsi all'alba con le ali al cuore e ringraziare per un altro giorno d'amore. (Kahlil Gibran)

- Si dice che il desiderio è il prodotto della volontà, ma in realtà è vero il contrario: la volontà è il prodotto del desiderio. (Denis Diderot)

- Non desiderando nulla, si possiede tutto. (Ippolito Nievo)

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lunedì 18 ottobre 2010

Madri e Nonne di Plaza di Mayo

Madri e Nonne di Plaza di Mayo


In questo articolo Sabrina prende spunto da alcuni tour che ha organizzato a Buenos Aires, per ricordarci un triste capitolo della storia argentina, e segnalarci alcuni punti di interesse sociale.

Il 24 di maggio del 1976 un colpo di stato fece cadere il governo di Isabel Peron e mise al potere i militari. Fin dal 1975 operava in Argentina un gruppo di repressione chiamato la “Triple A” che significava: Alleanza Anticomunista Argentina, con a capo Lopez Rega. Con l'arrivo dei militari al governo si assistette a un'applicazione sistematica del terrorismo di stato. I militari che salirono al potere promisero una “riorganizzazione nazionale”, rendendosi colpevoli di uno dei periodi più sanguinosi della storia argentina. Migliaia di persone furono assassinate e altrettante sequestrate e detenute in centri clandestini di detenzione dove venivano torturare e spesso uccise. Il termine utilizzato dai militari per giustificare la scomparsa delle persone fu quello di “desaparecidos”. I familiari di queste persone, quando non venivano a loro volta sequestrati, non ricevevano nessun tipo di informazione e rimanevano nella totale incertezza sul destino dei loro cari. E' a causa di queste terribili e angosciose situazioni che le madri delle persone scomparse iniziarono nell'aprile del 1977 a incontrarsi nella Plaza de Mayo, di fronte alla Casa Rosada, sede del governo, per chiedere informazioni. Le riunioni in luogo pubblico erano proibite dal regime militare e per questo le madri s'incontravano camminando in circolo e per riconoscersi utilizzavano un fazzoletto bianco in testa, che originariamente fu un pannolino di stoffa per bambini , e il gruppo naturalmente si chiamò Madri della Piazza di Maggio. Con il tempo, le madri hanno avuto in parte notizie sulla sorte dei loro figli, si sono incontrate fosse comuni, é stata istituita una banca dati di DNA per riconoscere i resti e rintracciare i figli dei detenuti nei centri clandestini; alcune delle persone coinvolte si pentirono e si auto-denunciarono.
Dalla fine della dittatura la politica del governo è stata basata sul compromesso e la copertura dei fatti e delle responsabilità a discapito della verità e della giustizia. In seguito a una serie di leggi successive al periodo militare, la legge del “punto finale” e di “obbedienza dovuta”, il governo offrì un risarcimento per le vittime della dittatura, parte delle madri accettò e parte no. Da qui il movimento si divise tra la Linea Fundadora, capeggiata da Nora Cortinas e la Associazione delle Madri di Plaza de Mayo, capeggiata da Hebe Bonafini. A questi gruppi si aggiungono quello delle “Abuelas”, Nonne di Plaza de Mayo, con la loro lider Estela Carlotto.
Sono passati molti anni, e le madri continuano a riunirsi ogni giovedì nella Plaza de Mayo alle 15.30. Negli ultimi due anni il tema dei Diritti Umani è finalmente un tema di dibattito aperto e sorgono nuove iniziative. Le madri reclamano su temi di giustizia sociale, occupazione, contro la povertà e la fame, contro le politiche del Fondo Monetario ecc.; rivendicano così i valori rivoluzionari e di giustizia sociale dei propri figli.

Esistono molte altre associazioni per la difesa dei diritti umani come la Lega Argentina per i Diritti Umani, la Assemblea Permanente dei Diritti Umani, la Commissione di famigliari di detenuti e Scomparsi per ragioni politiche, etc. Le Nonne di Plaza de Mayo hanno come obiettivo quello di rintracciare i loro nipoti, nati durante la prigionia dei loro figli e in generale dati in adozione proprio alle famiglie più coinvolte con le azioni militari. Al giorno d'oggi si sono recuperati più di 70 ragazzi. Infine ricordiamo il gruppo HIJOS (Figli) per la identità e la giustizia, contro l'oblio e il silenzio che raggruppa i figli delle persone scomparse e si muove a livello internazionale. Questo gruppo organizza manifestazioni chiamate “escraches” di fronte alla casa di persone notoriamente coinvolte durante gli anni della dittatura.
Ricardo Aguilar, una persona che da anni segue e sostiene la Associazione delle “Madri di Plaza de Mayo” ci accompagna alla riunione del giovedì e a visitare la loro sede e la Università delle Madri creata dalla stessa associazione. Durante questa visita una delle frasi più forti di quanto ci racconta è l'idea di “socializzare la maternità”, una posizione che è in aperto contrasto con la tendenza alla privatizzazione e all'individualismo trionfante.

Riporto i pensieri di Alessio, studente del Liceo Classico di Sanremo che ha viaggiato con noi nel giugno 2004.
Ricardo, professore in un istituto superiore nella pericolosa periferia di Buenos Aires, arriva un po' in ritardo causa la lentezza del treno. Grazie alla sua voce calda e raschiante quando borbotta, centra in pieno la chiave con cui descrivere la vita del suo paese: un grande vortice appassionante in cui la borghesia ricca accompagna la dittatura, le lotte del popolo generano amori, dove il dolore impregna le famiglie, e la passione prevale sulla repressione. ... Rimango entusiasta di Ricardo perchè soprattutto grazie a lui ho potuto notare come gli occhi degli argentini siano testimoni di quanto abbiano visto, e gelosamente ne custodiscano il ricordo, senza poter nascondere nulla. E infatti è proprio dagli occhi che sgorgano i sentimenti più disparati che fanno agire di conseguenza la persona: continuano le lotte, si diffonde la criminalità, ci si rende complici della corruzione. Ma sempre potranno cadere quelle lacrime di gioia o di paura che scandiranno imperterrite la vita di questo paese.”

I centri di detenzione clandestina
Secondo le stime degli organismi dei diritti umani, durante la ultima dittatura militare, in tutto il territorio della repubblica Argentina sono esistiti all'incirca 400 centri di detenzione clandestina. D'accordo alla Commissione Nazionale sulla scomparsa delle persone, “... entrare in questi centri significò per tutti “smettere di essere”, per il fatto che si cercò di distruggere l'identità dei prigionieri, si cambiavano i riferimenti del tempo e dello spazio, e si torturava nel corpo e nell'animo al di là dall'immaginabile”.

Club Atletico
Il “Club Atletico” fu uno dei centri clandestini di detenzione dentro la città di Buenos Aires durante la dittatura militare. Funzionò tra il febbraio e il dicembre del 1977 nei sottosuoli di un edificio della polizia federale, ubicato nel viale Paseo Colon tra Cochabamba e San Juan. L'edificio fu distrutto alla fine degli anni '70 per costruire la Autostrada 25 di maggio. Alcune parti dell'infrastruttura furono poi riciclate per la costruzione di un altro centro di detenzione chiamato “El Olimpo”.“la leonina”. La capienza del centro era di 200 persone e nella totalità almeno 1500 sono state detenute nel Club Atletico. Una o due volte al mese una ventina di detenuti veniva “spostata”, un termine utilizzato per indicare che le persone venivano assassinate. In questo centro operava principalmente personale della polizia federale.
Nell'aprile del 2002, su domanda di alcuni sopravvissuti e di organizzazioni dei Diritti Umani, sono stati iniziati scavi di recupero, in un tipo di archeologia urbana unico nel suo genere; con l'obiettivo di portare alla luce la struttura dell'edificio per ricostruire il funzionamento del centro di detenzione. Parallelamente, si stanno realizzando delle ricerche per identificare le persone che furono tenute prigioniere e rintracciare i sopravvissuti. Secondo alcune testimonianze le persone erano introdotte all'edificio con gli occhi bendati, erano fatte scendere per una scala stretta che portava ad un sotterraneo senza ventilazione, erano spogliati di tutti gli oggetti personali e indicati con una lettera e un numero e torturati. C'erano due gruppi di celle che si affacciavano in un corridoio stretto, due stanze di tortura, i bagni, un'infermeria, una stanza della guardia, tre celle individuali e un luogo di raccolta dei detenuti, chiamato

Museo de la Memoria - ESMA
Nella Scuola di meccanica dell'Esercito, meglio conosciuta come ESMA, funzionò uno dei principali centri clandestini di detenzione e tortura, tra il 1977 e il 1983. Il 24 marzo del 2004, in occasione dell'anniversario del colpo di stato del 1976, per rendere omaggio alle 30.000 vittime della dittatura, il presidente Nestor Kirchner, ha dichiarato la costituzione del Museo della Memoria in questi medesimi edifici, che continuavano fino a questo momento a essere parte della scuola militare. Il progetto è alla sua fase iniziale e nell'occasione della sua apertura è stata l prima volta che i rappresentanti di un governo democratico sono entrati nella ESMA.

Parque de la Memoria
Una delle ultime iniziative in tema di sensibilizzazione e consacrazione del tema dei diritti umani, che mostra una disponibilità tutta nuova del governo e della società argentina a confrontarsi con i temi della dittatura militare, è il progetto del Parco della Memoria.
Il parco, situato nella parte nord del lungo fiume del Río de la Plata, vicino alla città universitaria, è organizzato intorno a tre monumenti: il Monumento alle vittime del terrorismo di Stato, il Monumento alle vittime dell'attentato alla sede del AMIA e il Monumento ai Giusti tra le Nazioni: l'obiettivo è quello di ricordare e rendere omaggio alle persone detenute, scomparse e assassinate durante la ultima dittatura militare. Accanto al parco della memoria il progetto prevede la creazione di un'ulteriore zona di parco naturale, per ripristinare e conservare l'ecosistema della zona. L'idea è di recuperare una zona altamente degradata e di enfatizzare l'importanza della relazione tra l'uomo e la natura, creando nel suo insieme uno spazio pubblico con un valore di testimonianza storica artistica e naturale.
Al progetto partecipano rappresentanti di vari gruppi del movimento dei Diritti Umani, quali Abuelas de Plaza de Mayo, Madres de Plaza de Mayo - Línea Fundadora, Asamblea Permanente por los Derechos Humanos, etc. ; così come legislatori e rappresentanti della Università di Buenos Aires e membri del Governo della città di Buenos Aires.

Movimento Nazionale di Fabbriche Recuperate - MNER
Le politiche economiche di tipo neoliberalista promosse dalla fine degli anni '70 hanno condotto l'Argentina a una situazione di crisi economica che si è aggravata significativamente negli ultimi anni fino alla crisi del 2002-03. Queste diverse crisi hanno dato origine a fenomeni sociali prodotto della reazione popolare. In questo contesto s'inserisce il Movimento Nazionale di Fabbriche Recuperate. Tale movimento raggruppa le iniziative di occupazione e riapertura delle fabbriche chiuse: di fronte al paradosso di trovarsi per la strada senza lavoro e vedere le fabbriche chiuse con i macchinari abbandonati, i lavoratori prendono l'iniziativa di occupare le fabbriche e farle funzionare di nuovo. Il processo non è facile, scatena azioni di resistenza e di repressione da parte dell'autorità di polizia, pressioni legali, economiche e critiche della società. “Occupare, resistere, produrre” è lo slogan di questo movimento che oggi raggruppa da 100 a 180 imprese recuperate in tutta l'Argentina nelle quali lavorano più di 10.000 persone. Fino ad oggi nessuna di queste fabbriche ha chiuso né interrotto la sua attività.
Per la giurisdizione della città di Buenos Aires, il MNER ha promosso e ottenuto l'approvazione di una legge sull'espropriazione delle fabbriche o imprese fallite, che prevede che le fabbriche occupate passano sotto la tutela dei lavoratori per un periodo di due anni. In questo modo viene garantita una copertura legale all'espropriazione e la possibilità di organizzarsi durante questi due anni. Si sta cercando di far approvare una legge simile anche a livello nazionale, per facilitare situazioni già esistenti e le future.
Il MNER ha come principale obiettivo quello di aiutare e guidare le imprese che iniziano il processo di recupero. La fase iniziale è infatti la più difficile, piena di incognite, e di lunghi momenti di occupazione, mancanza di entrate, ecc.. Il MNER fornisce un aiuto di tipo legale, condivide esperienze di altre fabbriche, crea contatti; inoltre nelle possibilità dell'organizzazione si mobilita per facilitare la ripresa della produzione e organizzare i lavoratori, se sono disponibili anche con aiuti di tipo monetario: “Esiste un accordo d'onore tra le varie imprese che si recuperano - dice Luis Aravena del MNER - perché anche noi siamo stati aiutati.” Uno dei problemi più gravi è quello della gestione dei debito ereditati dalla gestione precedente e delle risorse umane (personale qualificato, in particolare). Anche per questo motivo e per rafforzare il movimento è stato firmato un accordo con l'università di Buenos Aires per organizzare corsi di formazione professionale in settori come amministrazione, marketing, informatica etc.
Visitiamo due imprese recuperate, la Cooperativa IMPA che produce lavorati d'alluminio e l'hotel Bauen.
La IMPA è stato il primo caso di occupazione-recupero dentro la città di Buenos Aires. Dal 22 di maggio del 1998 è gestita dagli stessi operai con la solidarietà del quartiere. Con l'aiuto di Guillermo Robledo, un compagno che donò la prima tonnellata di alluminio, fu fatta riprendere la produzione della fabbrica. Un punto di forza della storia del recupero della IMPA è l'aver creato vincoli e alleanze con entità esterne e l'aver fatto conoscere la propria attività. Un'iniziativa nel campo culturale, promossa de una professoressa di teatro che chiese uno spazio per presentare uno spettacolo, riscosse tanto successo che con il tempo si è creato un Centro Culturale nella stessa IMPA. Durante il fine settimana parte della fabbrica si converte in sala di spettacoli dove si può ascoltare musica, vedere opere di teatro, danza o film; si organizzano anche mostre, corsi e seminari su temi culturali. Recentemente si è anche aperta una scuola per adulti con programmi e diplomi riconosciuti, frequentati da vari operai della fabbrica stessa.
Horacio Campos, che lavora nella IMPA dal 1968, ci accompagna a visitare la fabbrica e ci trasmette il grande orgoglio nel vedere la produzione che continua aumentando, la capacità di autogestione e la mancanza di un “padrone”. Chiaramente mantenere la fabbrica aperta e funzionante richiede uno sforzo contino, nel settore della produzione, promozione e vendita. : chiama l'attenzione la mancanza di applicazione di norme di sicurezza come utilizzo di guanti, occhiali, maschere, un sistema di aerazione degli ambienti; esistono piani pensionistici e di salute in parte autofinanziati.
Il Bauen è un hotel emblematico della città di Buenos Aires, costruito dal governo militare per i mondiali di calcio del 1978. Lo caratterizza una storia di finanziamenti fraudolenti, chiusure, riaperture, fallimenti, fino alla chiusura definitiva il 28 dicembre 2001. Dal marzo del 2003 un gruppo di lavoratori dello stesso hotel lo ha occupato ed è in attesa della risoluzione di varie questioni legali per abilitarlo nuovamente e aprirlo al pubblico.
Coperti dalla legge sulle espropriazioni del Governo della città di Buenos Aires e nel proseguirsi di svariate azioni legali, gli impiegati del Bauen hanno ottenuto per il momento la custodia del hotel, ma non il permesso di sfruttarlo commercialmente. In realtà affittano alcune sale per eventi puntuali e hanno aperto un bar, anche se solo in maniera ufficiosa (i giovedì sera e durante il fine di settimana si danno spettacoli di tango, spettacoli teatrali e musicali). In attesa di un finanziamento di circa 130.000 dollari che dovrebbe essere messo a disposizione dello stesso governo della città, queste attività svolgono comunque l'importante compito di garantire una manutenzione minima e una funzione di sorveglianza dei locali senza la quale l'edifico cadrebbe in una situazione di abbandono totale.
Durante la nostra visita ci fermiamo nel bar, parliamo con alcune persone che fanno parte del gruppo di occupazione, visitiamo i saloni e le camere. Il panorama è un poco desolante: le 200 abitazioni, che si ripartono su 19 piani sono vuote e in parte smantellate, danno un'idea di un fasto passato e soprattutto un contrasto forte con le motivazioni, le ideologie e la tenacia delle persone che attualmente lo stanno occupando.

Sabrina
Buenos Aires


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una madre che non si rassegna: caso Aldrovandi

Un diciottenne muore a Ferrara pochi minuti dopo essere stato fermato dalla polizia dalle parti dell'Ippodromo. I giornali locali, a caldo, scrivono di un malore fatale, sembrano alludere a un'overdose. Ma subito saltano fuori particolari inquietanti e contraddizioni. La versione suggerita dalla questura fa a pugni con la relazione di servizio della squadra mobile. E chiunque vedrà il corpo del giovane non riuscirà più a credere a una sola parola della versione ufficiale.
Quello che stiamo per raccontare è successo all'alba del 25 settembre. Una domenica mattina. Ma la vicenda ha oltrepassato da pochissimi giorni le mura della città. 
Da quando la madre del ragazzo, dopo mesi di inutile attesa della relazione medica, ha deciso di aprire un blog e raccontare i propri dubbi.

 il caso Aldrovandi:  http://federicoaldrovandi.blog.kataweb.it


Il caso Aldrovandi domenica 17 ottobre

Un ragazzo morto in Questura, una madre che non si rassegna, un’indagine difficile, un processo con quattro agenti di Polizia condannati in primo grado per omicidio. Una storia vera. Una storia, giudiziaria e non solo, che Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi – morto nel 2005 a Ferrara a causa delle percosse subite – racconta a Caternoster domenica 17 ottobre alle 23.35.  Con lei anche il giornalista Rai Filippo Vendemmiati, autore del film documentario E’ stato morto un ragazzo, presentato al Festival di Venezia.

TUTTA LA STORIA QUI
http://www.reti-invisibili.net/aldrovandi/





Caro Federico.
Ho fatto un sogno.
Tu che mi sorridevi e con i tuoi occhi accarezzavi il mio cuore, tenendomi tra le tue  braccia.
Che bello.
Ma la realtà è ben diversa, cruda e insopportabile.
Nonostante tanta chiarezza ed inequivocabilità sui fatti (attraverso due sentenze di condanna) di chi quella mattina strappò il tuo cuore e di chi non svolse indagini corrette (diciamo così) successivamente all’omicidio, il male continua sotto tante forme.
Parlano di soldi come se ti potessero restituire alla calma e alla serenità di una piccola famiglia uccisa con te, quella maledetta, vigliacca ed infame domenica mattina.
Che orrore.
C’è chi chiede anche denaro Federico, per aver leso la sua onorabilità.
Che pena.
Il giorno della sentenza dissi pubblicamente che dopo la “quasi verità” di quell’assurda alba di morte avrei voluto cominciare a pregarti da solo, lì dove il tuo corpo ora forzatamente e innaturalmente riposa.
Me lo stanno ancora impedendo, ma non demordo perché il mio cuore e la mia anima hanno il dovere di proteggerti fino all’ultimo mio respiro, per quello che ti hanno fatto.
Dignità e rispetto, l’ho sempre detto dal giorno della sentenza, ti sono state restituite, maledettamente senza il tuo ritorno da quella porta.
Non so come andrà a finire questa assurda storia, ma ciò che mi conforta, oltre alle tantissime persone a noi vicine e addirittura anche loro querelate per aver espresso legittime “critiche”, è la presenza nelle Istituzioni di funzionari (Onesti e con un’Anima) che tengono ancora alto il concetto di Ragione, di Verità e di Giustizia.
E nel nostro caso ce lo hanno dimostrato e continuano ad essere presenti e attenti.
Con calma, a prescindere dalla nostra presenza o meno nel civile, il procedimento penale nei confronti di chi ti ha cagionato la morte senza una ragione,  proseguirà fino all’ultimo grado di giudizio.
Un bacio e una carezza al cielo a tanti figli.
Si Federico, purtroppo sei volato via, ma come scriveva qualcuno, oggi più che mai, alza gli occhi al cielo a testa alta e che quella tenue e calda luce che in questa foto illumina il tuo sguardo possa essere di guida per chi deve continuare a lottare contro le troppe ingiustizie di questo nostro mondo.
Fino in fondo e oltre. 
Lino

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sabato 16 ottobre 2010

VADEMECUM PER RAGAZZE CHE SUBISCONO VIOLENZE (UTILE ANCHE PER GENITORI E INSEGNANTI)



femminismo a sud

La vicenda di Sarah Scazzi fa emergere in modo evidente che uno dei gravi problemi che hanno le ragazze che subiscono violenze è quello di non trovare appoggio e di non sapere a chi rivolgersi per chiedere aiuto.

La famiglia è più spesso un luogo che tutela il carnefice lasciando completamente sola la vittima. Amici e parenti dei carnefici non sono esattamente i punti di riferimento ideali per chi subisce violenze. Persone che convivono e coesistono nello stesso ambiente dei carnefici sono spesso più spinti a colpevolizzare la vittima e a difendere il carnefice. Perciò ecco una serie di suggerimenti da fare girare nelle scuole, tra le vostre figlie e i vostri figli, le vostre amiche, amici, cugine, nipoti, conoscenti.

1 – Nessuno ha il diritto di mettervi le mani addosso se voi non lo volete. Uno dei diritti fondamentali che avete è quello di poter scegliere sempre quando, come e con chi vivere la vostra vita sessuale. Il sesso deve essere consensuale. Se voi dite di NO e l’altro continua a molestarvi è un abuso. Non lasciatevi ingannare da equivoci e fraintendimenti dietro i quali molestatori e stupratori si nascondono per manipolarvi e poter fare di voi quello che vogliono.

2 – Nessun adulto, parente, padre, zio, fratello, nonno, può chiedervi di “giocare” con lui a fare sesso. Il sesso è una cosa gioiosa, bella, da vivere con spontaneità e pulizia e non in una situazione di squallore e abuso che vi farà inevitabilmente stare male.

3 – Se un adulto vi tocca, molesta o abusa di voi vi sentirete sporche, i vostri abusatori vorranno farvi sentire in colpa, vi diranno che siete voi ad aver provocato, giustificheranno il loro abuso. Se un adulto vi tocca, molesta o abusa di voi dovete immediatamente denunciare e MAI pensare che sia stata colpa vostra.

4 – Se ad abusare di voi o a molestarvi è il vostro insegnante parlatene con i vostri genitori, amici, parenti. Se non trovate ascolto presso queste persone recatevi in un centro antiviolenza, chiamate i numeri disponibili che vi indirizzeranno nei luoghi più vicini. Rivolgetevi comunque senza ombra di dubbio a persone adulte delle quali vi fidate ciecamente o che sentite comprensive rispetto a questi problemi.

5 – Se ad abusare di voi o a molestarvi è vostro padre, zio, fratello, parente, rivolgetevi ad una insegnante, un centro antiviolenza, comunque a persone adulte al di fuori dai contesti familiari. Potrete rivolgervi ad altri membri della famiglia solo se li riterrete davvero preoccupati per il vostro benessere più che della stabilità e della reputazione della famiglia.

6 – La violenza maschile si trova innanzitutto nella famiglia. Non si tratta soltanto di abusi sessuali ma anche di mille altre forme di violenze di tipo fisico o psicologico. Avete il diritto di ribellarvi e denunciare qualunque sopruso, violenza e prevaricazione da voi subita.

7 – Non lasciate che altri dettino norme sulla vostra vita: non ci sono mai modi di vestire, comportarsi, camminare, per evitare un abuso. Non dipende da voi. Semplicemente accade che voi rappresentiate l’oggetto del desiderio per qualcuno e questo qualcuno più spesso è tra le mura della vostra casa, tra le vostre amicizie, a scuola, tra i conoscenti o comunque in ambienti che frequentate quotidianamente e che erroneamente percepite come luoghi più “sicuri” di altri che non conoscete.

8 – La violenza si annida tra persone di tutte le culture, le nazionalità e le religioni. Non c’è mai una distinzione. Non dipende dal colore della pelle. Non dipende dalla lingua parlata. La violenza maschile si trova più spesso in famiglia, tra le persone che conoscete e si serve di omertà e complicità per continuare ad esistere.

9 – Troverete certamente difficoltà nel denunciare ed essere credute quando direte di essere state abusate da ragazzi o uomini italiani. In special modo quando parlerete di persone della vostra famiglia comunemente giudicate “rispettabili” o parlerete di altri uomini che ricoprono ruoli sociali di prestigio. La violenza maschile è più protetta e tollerata in famiglia e tra soggetti di estrazione sociale ricca, benestante, o più comunemente italiana. Tuttavia dovrete comunque rompere il muro del silenzio e fidarvi di una o più persone che porteranno avanti questa battaglia in vostra difesa.

10 – Costruite una serie di relazioni sociali tra coetanee. Realizzate patti di amicizia e solidarietà. Parlate tra voi degli abusi subiti. Costruite una rete attiva che possa diventare il vostro rifugio nel caso in cui ne avrete bisogno. Incontratevi, parlate, confidatevi, non custodite segreti e rompete il silenzio almeno tra voi esponendo tutto ciò che non vi sembra normale perché normale non è. Realizzate sorellanze perché la sorellanza è quella che vi salverà la vita quando ne avrete bisogno.

L’ultimo suggerimento è per mamme, padri e insegnanti che sono disposti ad andare oltre le apparenze e a tutelare le vittime di abusi a prescindere da chi sia il carnefice. Fosse anche vostro marito, figlio, fratello, amico, collega, datore di lavoro, voi avete una responsabilità che è e deve essere collettiva. Perché la solidarietà è anche un esercizio di diffusione capillare di una differente mentalità che si scontra contro ogni forma di omertà e complicità.

Bisogna che organizziate dei gruppi territoriali, dei punti di riferimento presso ogni condominio, quartiere, scuola, per raccogliere denunce e per diventare punti di riferimento di ragazze come Sarah Scazzi che altrimenti non sanno a chi rivolgersi.

Fatelo nelle città, nei paesi, nei borghi di campagna. Non lasciate che le vittime siano da sole. Non pretendete che le vittime mostrino coraggio se il loro coraggio si scontra contro un totale vuoto tutto attorno. Non pretendete coraggio se nessuno di voi ha il coraggio di assumersi una responsabilità per offrire supporto e riparo oggi a vostra figlia e domani alle figlie del mondo intero. Ché non dobbiate chiedervi mai perché vostra figlia non vi ha parlato di quello che ha subito. Chè non dobbiate chiedervi mai perché le ragazze non denunciano.

E’ nostra/vostra responsabilità creare le condizioni e un terreno utile in cui ragazze come Sarah potranno trovare vie più semplici per scegliere di denunciare e salvarsi la vita.

Bisogna salvare la vita alle ragazze, a donne e bambini, a prescindere dai rapporti di convenienza, dal cortese scambio di indifferenza tra conoscenti, alla complicità ben ripagata tra colleghi, a rapporti di “amicizia” che non volete mettere in discussione.

Mettete dinanzi a tutto, per ordine di importanza la vita delle ragazze in difficoltà.

Se siete insegnanti e sapete di un collega molesto è vostro dovere avere il coraggio di esporvi e farvi un “nemico”. La vostra vigliaccheria costerà cento vite in più e fare finta di non vederle non cambierà il risultato della questione.

Se siete genitori, avete il dovere di sostenere vostra figlia qualora vi rendete conto che ha subito abusi da un padre, fratello, nonno, zio, parente. La stabilità familiare non conta più della vita di vostra figlia. La reputazione della famiglia non conta più di vostra figlia. E nel dubbio dovete sempre credere a lei perché è essenziale prima di tutto che lei sappia di essere stata creduta.

Avete/abbiamo il dovere di regalare alle figlie, alle ragazze, alle donne in difficoltà, la fine del silenzio collettivo.

Perché prima che di abusi le ragazze muoiono di solitudine e non dite che la solitudine non sia un problema del quale non potete assumervi la responsabilità.

Se avete suggerimenti, contributi, pareri che possono essere utili scrivete tra i commenti e arricchite questo post.

NB: ovvio che questi suggerimenti valgono anche se le molestie avvengono dentro reti amicali, luoghi di frequentazione extrafamiliare e scolastica. All’interno di questi posti dovrebbe esserci sempre un punto di riferimento a fare la differenza e a definire il fatto fondamentale che l’aiuto parte dalla lotta contro la rimozione e l’indifferenza collettivi. Le molestie possono avvenire ovunque. I violenti stanno ovunque. Chi subisce violenza dovrà poter contare su esempi di solidarietà, mutuo aiuto, collettivi. Altrimenti rivolgersi a soggetti esterni e adulti fidati.


http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2010/10/08/vademecum-per-ragazze-che-subiscono-violenze-utile-anche-per-genitori-e-insegnanti/


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L’Italia combatte la prostituzione tagliando alberi



Oggi le organizzazioni ambientaliste hanno espresso il proprio dissenso riguardo al progetto delle autorità locali dell’Abruzzo, regione del centro-Italia, di combattere la prostituzione con la deforestazione.
Per decenni l’amministrazione e i politici locali hanno cercato, con difficoltà, di tenere sotto controllo la strada Bonifica Del Tronto, un paradiso per il mercato del sesso, che dalla costa Adriatica percorre l’entroterra per più di 10 miglia, lungo il fiume Tronto. Negli anni, sono state installate telecamere, organizzati raid, è stata resa operativa una sorveglianza 24 ore su 24 e i sindaci dei paesi lungo la strada hanno varato provvedimenti che imponevano multe per i clienti delle prostitute. Tutto inutile.
Alla fine del mese scorso, l’assessore ai lavori pubblici del governo regionale, Angelo Di Paolo, ha annunciato che era arrivato il momento di adottare misure drastiche. Ha dichiarato infatti di essere d’accordo con il progetto dei portavoce provinciali e comunali di radere al suolo tutta la vegetazione “intorno e lungo le rive [del fiume Tronto]“, dove “lavorano” le prostitute.
L’autorità locale “deve contribuire alla soluzione dei problemi legati al rispetto della legge e all’ordine pubblico”, ha detto Di Paolo. Ma tre associazioni ambientaliste, incluso il WWF, hanno evidenziato in un comunicato come il progetto distruggerebbe 28 ettari (69 acri) di foresta, importantissima per l’ecosistema locale, e come il solo crimine di migliaia di alberi, che per il comune sono da abbattere, sia stato quello di “offrire, con le loro fronde, protezione e intimità alle prostitute”.
Le autorità, hanno aggiunto gli ambientalisti, “non hanno nemmeno tenuto in considerazione gli effetti positivi degli alberi tra i quali il fatto che essi assorbono migliaia di tonnellate di biossido di carbonio e danno all’uomo ossigeno” dicono. Inoltre, impediscono che i fertilizzanti e i pesticidi raggiungano il fiume.
Questo mese, un’indagine ONLUS ha rilevato come quai 600 prostitute lavorino sulla Bonifica Del Tronto. La maggior parte sono nigeriane, ma vi sono anche romene, brasiliane, albanesi e cinesi.
Di Paolo è un uomo noto per le sue reazioni forti. Qualche anno fa, quando era sindaco del paese di Canistro, divenne celebre per aver sparato ad un rapinatore di banca che aveva poi inseguito e catturato.

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le donne metalmeccaniche alla manifestazione del 16 ottobre promossa dalla Fiom










Fiom. Squisitamente di genere. Le Metalmeccaniche spiegano le ragioni di genere della protesta alla Casa Internazionale delle Donne di Roma. Intervista a Barbara Pettine, Fiom-Cgil nazionale, a cura di Salima Balzerani 

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   [www.libera.tv]

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Con le donne metalmeccaniche alla manifestazione del 16 ottobre promossa dalla Fiom.
Le donne italiane vogliono lavorare e lo fanno in molteplici modi. Lavorano fuori casa e in casa, nella produzione e per la cura, in modo obbligato e per scelta, retribuito e gratuito. La loro vita  non è rappresentabile in alternative secche.
      E’ la nuova soggettività delle donne che esprime aspettative di reddito, di autonomia e realizzazione di sé anche di fronte a condizioni che rendono difficile il loro pieno concretizzarsi.   

  Condizioni che diventano sempre più pesanti per i processi economici in corso in cui è ben chiara la volontà dell’impresa privata di  ridurre il lavoro a merce e di voler disporre, senza limiti, delle prestazioni lavorative di donne e uomini.
Noi, in questo conflitto vogliamo esserci, mettendo al centro il contrasto tra la soggettività femminile e le condizioni materiali, culturali e di potere che ne impediscono la piena affermazione.
   Per questo aderiamo e parteciperemo alla manifestazione nazionale a Roma del prossimo 16 ottobre promossa dalla Fiom.
     Ci anima l’intento di far emergere la soggettività femminile in tutti i processi che investono il mondo del lavoro:
- Dove la crisi taglia l’occupazione come è avvenuto per le oltre 104.000 donne espulse dal sistema industriale negli ultimi due anni, dato documentato dalle sindacaliste della Fiom con cui, riteniamo fondamentale costruire un’interlocuzione costante.
 - Dove nei settori più a rischio dell’ industria o nelle piccole imprese, anche familiari, si licenzia senza soluzioni alternative, senza giusta causa e senza ammortizzatori sociali.
-  Quando si monetizza l’uscita delle donne o  le si ricattano con mezzi illegali come la pratica della lettera di dimissioni in bianco firmata al momento dell’assunzione e usata in gravidanza.
- Laddove, il comando a senso unico delle imprese impone ritmi e carichi di lavoro, turni di notte, lavoro festivo e di sabato, abuso dello straordinario rendendo la vita lavorativa disumana e non a misura delle donne, dei loro corpi e della loro doppia,tripla fatica
- Laddove la  maternità e il lavoro di cura sono considerate dalle aziende costi e impedimenti e dallo Stato un “ovvio” compito delle donne senza alcun riconoscimento e, di conseguenza, non meritevole di essere sostenuto con moderni servizi - sociali, assistenziali, educativi-.
- Quando, si penalizzano le donne elevando l’età della pensione, di ben sei anni in un sol colpo, come è avvenuto nel pubblico impiego  e si vorrebbe fare in quello privato.
    Le donne lavoratrici  inventano ogni giorno combinazioni ingegnose per tenere insieme mondi diversi, il più possibile e nei modi migliori. Svolgono una mole di lavori diversi, che vogliamo far risaltare in tutto il loro valore con un’autodichiarazione pubblica. 
     Vogliamo partire dalla forza di una presa di coscienza femminile per ripensare il lavoro su parametri umani e non subordinare la vita ai parametri disumani dell’impresa e del risanamento del bilancio pubblico.
E’ questa è la nostra posta in gioco. E siamo consapevoli che essa passa innanzitutto dal respingere il disegno di riportare, come nel passato, la dignità del lavoro alla mercé di rapporti di forza in cui l’impresa ha una posizione dominante. Progetto esemplificato nella volontà della Confindustria di scardinare i contratti nazionali, e del Governo di sostituire l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, con una legge che introduce il contratto individuale e l’arbitrato quando  vengono lesi diritti.
    Per tutto questo siamo con la Fiom, per segnare con la soggettività delle donne l’aspro conflitto che ha aperto, per costruire ora e non in un secondo tempo una riforma del lavoro, basata su una riorganizzazione dei tempi per tutti, donne e uomini, a misura delle loro differenti esigenze.


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mercoledì 13 ottobre 2010

E' proprio necessario divorziare




Sono sempre di più le coppie che dopo matrimoni più o meno lunghi, non vanno più d’accordo e decidono di separarsi. Ma quando l’amore finisce sono dolori e non solo sentimentali, ma anche economici! Il conto in banca si prosciuga per colpa di parcelle alte degli avvocati, e in più si aggiungono i mantenimenti di moglie (in alcuni casi) e figli, oltre alle spese per la nuova abitazione. Per questo molte coppie scoppiate decidono di proseguire la loro vita da separati in casa.



Cosa domandarsi
In molti credono che il divorzio risolva i problemi; ma ne siete davvero sicuri? È stato tentato davvero il tutto per tutto? I costi personali e materiali del divorzio possono essere migliori dei benefici?



Ecco cosa bisogna domandarsi prima di avviare le pratiche per una separazione e eventuale divorzio.
  • Qual è il vero problema?
  • Cosa ci si aspettava e cosa ci si aspetta dalla vita familiare?
  • I desideri personali vengono prima della cura per la famiglia?
  • Avete provato tutte le possibilità per far funzionare la vostra coppia?
  • Se la causa è un nuovo amore, siete sicuri che funzionerà tutto nella nuova coppia?
Tentare con una terapia di coppia
Prima di arrivare ad un divorzio le coppie avrebbero bisogno di confrontarsi di fronte ad un professionista che li fa riflettere ed eventualmente in seguito giungere ad una separazione in modo sereno e civile. La terapia di coppia serve a ristabilire un dialogo sereno, soprattutto se con gli anni si è persa l’abitudine di parlare civilmente. Il ruolo dello psicologo è quello di insegnare ai due coniugi il recupero di un buon dialogo di coppia. Con gli anni le esigenze dei partner possono modificarsi e bisogna uscire dai modelli prestabiliti all’inizio della relazione. In terapia i coniugi discutono liberamente dei loro pensieri senza coinvolgere figli e famigliari. Si tratta di uno spazio dove poter risolvere i conflitti che hanno scatenato la crisi anche per capire quali sono le migliori vie di uscita.


Una pausa di riflessione
La pausa di riflessione può funzionare per alcuni e meno per altri, e talvolta è solo un modo per rendere meno traumatico il momento dell’addio. Chiaramente prima di decidere di divorziare una pausa è d’obbligo; anziché cedere a impulsi istintivi e dire che non c’è più nulla da fare, è importante prendersi del tempo per fare una scelta ponderata. È importante ricorrervi soprattutto quando la situazione sta degenerando e i conflitti sono all’ordine del giorno. In questo modo si calma la situazione e si riflette, soprattutto se ad assistere ai continui litigi ci sono dei bambini.


Separati in casa
Separazioni e divorzi sono diventati cose da ricchi; per tutte quelle famiglie che faticano ad arrivare a fine mese separarsi è un lusso e così spesso si continua a convivere sotto lo stesso tetto, senza però amarsi più. Dirsi addio costa troppo, significherebbe mantenere figli e moglie, prendere un altro appartamento, avere nuove spese, e così in molti casi moglie e marito arrivano ad un compromesso. L’importante è mantenere rapporti civili, non litigare troppo in casa e avere regole precise di rispetto degli spazi. Se questo non è possibile allora bisogna sapere che la separazione causerà una modifica dello status economico e di tenore sociale di tutti.


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mercoledì 6 ottobre 2010

Mamme a 50 anni




È stata la notizia dell’estate: Gianna Nannini, cinquantaquattrenne, è in dolce attesa; ma anche Heater Parisi, giunta ai 50, ha deciso di ridiventare mamma con la fecondazione, dando alla luce due splendide gemelline. Ma non sono donne famose che hanno superato la soglia dei cinquant’anni, vogliono assaporare la maternità. Sono sempre di più le donne “in attesa”, quando l’età biologica non lo permetterebbe. Come è possibile? Quali sono i rischi?




Perché mamme tardi?
Secondo i dati istat, i bambini nati da donne ultracinquantenni sono in aumento, e solo il 10% dei nascituri ha una mamma con meno di 25 anni. Rimanere incinta quando si è alla fine del periodo fertile è possibile, anche se a volte i rischi sono notevoli. In Italia le donne che diventano madri dopo i 35 anni sono il 34%, e il 6% dopo i 39 anni. Questa è la fotografia che ostetrici e ginecologi fanno in Italia, e si tratta di un fenomeno sempre più in aumento. I motivi di questa tendenza sono vari; per prima cosa la difficile situazione economica e sociale costringe a diventare adulti e indipendenti molto più tardi di un tempo. In più le donne dopo i 40 si curano molto di più di un tempo e anche a questa età la donna si sente giovane, in forma e all’apice del successo.

In modo naturale è possibile?
Avere un bambino in modo naturale dopo i 40 anni è piuttosto difficile; anche se sembra strano, negli ultimi tempi il periodo fertile della donna si è accorciato notevolmente. Più passa il tempo, più calano le possibilità di rimanere incinta: superati i 30 anni una donna conserva solo il 12% degli ovociti che aveva alla nascita, per precipitare dopo i 40 anni.
Quindi, salvo rari casi, rimanere incinta naturalmente dopo i 40 anni è cosa assai rara. Nella maggior parte dei casi si deve ricorrere alla fecondazione assistita.

La fecondazione assistita
Le metodiche non naturali a disposizione per avere una gravidanza, sono diverse, ma a quest’età la soluzione migliore è quasi sempre l’ovodonazione, che però è vietata in Italia. Si tratta nella donazione di un ovulo da parte di un’altra donna, molto più giovane della madre; in pratica si usa l’ovulo donato, che in laboratorio viene fecondato dagli spermatozoi prelevati dallo sperma dell’uomo (che non deve per forza essere quello del partner). In Italia comunque questo tipo di fecondazione è vietata dalla legge, mentre è possibile fecondare in laboratorio ovulo e spermatozoi della coppia sposata. In ogni caso, una volta avvenuta la fecondazione in vitro, l’ovulo viene impiantato nelle donna che porta a termine la gravidanza.

Probabilità
Le casistiche rivelano che le donne con più di 43 anni che si rivolgono ad un centro di fecondazione assistita in Italia, hanno scarse probabilità di rimanere incinte proprio perché non possono appoggiarsi all’ovodonazione. All’estero, invece, dove l’ovodonazione è permessa, le donne dopo i 40 anni hanno la stessa probabilità di rimanere incinta di quelle più giovani, proprio perché si usano ovuli di ragazze giovani. Ovviamente in questi casi il patrimonio genetico sarà per metà della donna che ha donato l’ovulo e per metà dell’uomo che lo ha fecondato. Non avrà nulla in comune con la donna che lo ha portato in grembo per 9 mesi, anche se poi a livello psicologico è proprio figlio.

Quali pericoli?
Una gravidanza tardiva non è solo difficile, ma può anche essere rischiosa; per una mamma sana e in buona salute ci possono essere rischi in tre casi: se è la prima gravidanza, se è indotta dalla fecondazione assistita oppure se è una gravidanza gemellare. Il feto può incorrere alla possibilità di morte o nascita precoce, e ci sono probabilità che il bambino nasca autistico, con sindrome di Down o anomalie monogeniche.

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Dati Istat: crisi della famiglia




Dagli ultimi dati Istat legati al matrimonio, alla famiglia e alle separazioni emergono quadri abbastanza preoccupanti: crisi della famiglia, caduta di valori, difficoltà a superare gli ostacoli e nuclei familiari che si disgregano abbastanza facilmente, ricordando un pochino i castelli di sabbia da poco visti durante le nostre vacanze.


I dati Istat dicono che su 1.000 matrimoni 286 finiscono con una separazione e 176 con divorzio. Non sono delle cifre edificanti e incoraggianti, sia per chi è già sposato, sia per chi sta facendo il grande passo e solitamente è assalito da dubbi, perplessità o è molto innamorato e non si pone magari nessuna domanda sul futuro a due.
Per poter creare una coppia solida gli “ingredienti” sono davvero molti da acquistare e la “lista della spesa” non è cosa di poco conto, non si devono dare per scontate le cose e tanto meno non si devono neanche vedere in modo troppo superficiale o peggio apocalittico. Qui molto dipende dal carattere, dall’educazione della famiglia di origine, dai legami con la medesima, poiché in realtà la coppia non è fatta solo da due individui, ma intorno ad essa satellitano le famiglie, i parenti, gli amici e, per quanto si creda che tutto questo gruppo di persone non entri, in realtà ha un suo peso, e che peso delle volte! Basti pensare che, a detta proprio degli avvocati matrimonialisti, spesso la causa più frequente di separazione è la suocera magari invadente, ficcanaso, che non sta al suo posto ecc.
Certo questo non è l’unico motivo, ne esistono di molti altri come ad esempio l’incapacità di comunicare ai propri figli, di far esprimere le loro emozioni, i loro sentimenti; tutto ciò da grandi li porterà a delle difficoltà incredibili, poiché come “il serpente che si mangia la coda” non saranno a loro volta capaci di comunicare affetto, amore, o comunque avranno delle problematiche da questo punto di vista.
Senza parlare poi dei bambini cresciuti nelle famiglie di genitori in cui vige la violenza, l’anafettività ecc, in questo caso è purtroppo “normale” non avere proprio gli strumenti per comunicare con l’altro, sia esso dello stesso sesso ma anche di sesso diverso; ecco allora coppie in cui si manifestano squilibri, intolleranze, povertà morale, etica ecc.
La famiglia è quindi minata pericolosamente da tanti elementi negativi e subdoli, a cui l’occhio di un uomo e un donna sposati e all’inizio innamorati difficilmente riescono a vedere.
La famiglia di origine è la casa in cui si trova protezione, ascolto, amore, affetto, coccole, critiche costruttive e in cui ci si sente bene, da questa casa si deve uscire liberi, sicuri, capaci di relazionarsi con il resto del mondo; se invece da essa non si ricevono gli strumenti adeguati e i valori corretti diventa tutto più difficile e la stessa vita sociale risulta prima o poi compromessa.
L’amore tra due essere viventi che formano una coppia non è sempre tinto di rosa, anzi a volte assume tinte cupe, scure, tenebrose, fatte di paura, incertezza, timore, indecisione: è li che si vede allora la vera coppia, la vera famiglia, quella che riesce a superare anche le tempeste e rimanere a galla.
Mi viene in mente una pubblicità di questi giorni in cui una simpatica voce accompagna la frase “Ti piace vincere facile?”, ecco se fosse sempre tutto facile, forse nessuno di noi sarebbe messo alla prova. In pedagogia esiste il concetto molto importante che si impartisce ai giovani educatori e cioè “il mettersi in gioco”: credo che ognuno di noi, nell’esatto momento in cui decide di formare una famiglia, per non finire in quella fascia numerica di quasi 300 coppie allo sfascio, forse dovrebbe tirarsi su le maniche e provare a non mollare, ovviamente se l’impiego di energia, tempo e tante altre cose sono davvero importanti e meritevoli di attenzione.
La famiglia è una condizione che, oltre ad essere micro, è anche macro, a livello sociale, poiché ha dei risvolti sia storici, che economici, sociali ecc di un certo rilievo, da sempre. Ecco perché è fondamentale curarla e dedicarle la massima attenzione e soprattutto la capacità di ascolto, sempre, in qualsiasi momento della giornata, verso tutti coloro che ne fanno parte.

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Vari modi per comunicare in amore


Il mezzo che una persona usa per comunicare i propri sentimenti rivela molto di ciò che è.

Il dialogo e la comunicazione sono alla base di ogni rapporto: dall’amicizia all’amore. Tuttavia non sempre è facile esprimere ciò che si sente, soprattutto se si tratta di sentimenti. Qualunque sia il metodo usato per comunicare con il partner, svela molto di ciò che si è, e spesso influisce molto sull’esito della discussione e anche sulla qualità del rapporto.
Come vi comportate quando vi piace una persona e volete comunicarglielo?
Chi comunica con raffiche di sms
Ci sono persone che per comunicare qualsiasi cosa usano i messaggini del telefonino: dalla notizia più futile al sentimento più grande. Si tratta di un mezzo che consente di scrivere brevi frasi in ogni momento della giornata, anche a notte fonda. Solitamente chi preferisce gli sms è una persona diretta, impulsiva e con l’urgenza di comunicare, ma dietro a tanta velocità si potrebbe nascondere la paura di mettersi davvero in gioco con l’anima oltre che con le parole.
Gli sms se, da un lato, aiutano a spezzare la monotonia di giornate intense di lavoro o lunghi silenzi che si protraggono da tempo, dall’altro escludono totalmente la comunicazione non verbale, quella che fa emergere le emozioni. Nel testo non c’è il vero io, può servire da “stuzzichino” nell’attesa di un incontro, ma non sostituire la relazione verbale.
Lunghe e-mail
Altre persone affidano ogni stato d’animo al computer e alle mail: dalla rabbia per una delusione, alla felicità che si prova ripensando a momenti condivisi, ma anche per scambiare foto, immagini, e frasi d’effetto. La mail è simile alle vecchie lettere scritte a mano, con però l’immediatezza della spedizione e della ricezione. On-line ci si può raccontare a lungo e dare voce alle emozioni più intime, senza la paura di essere interrotti. Se da un lato questo mezzo può essere un filtro, dall’altro consente di rivelarsi molto più di quanto alcuni fanno di persona. Tuttavia il rischio è di farsi travolgere e raccontare troppo, togliendo anche la suspance del “non detto”.
Telefonate interminabili
C’è chi indubbiamente alla comunicazione scritta preferisce quella orale. Chi telefona opta per un tipo di comunicazione meno fredda e sicuramente più personale, ma comunque è pur sempre limitata perché, al di là del tono della voce, mancano sguardi e gestualità. Inoltre in questa comunicazione si sa che ciò che si dice non ci inchioderà, perché “verba volant, scripta manent”, quindi a volte ci si sente più liberi  di parlare. La cosa migliore comunque è usare il telefono per ricordare che ci sei, per comunicare il tuo desiderio del momento, ma poi lasciare all’incontro il resto della comunicazione.
La comunicazione di persona
Infine c’è chi in amore usa tutti gli altri mezzi solo per comunicazioni brevi e di servizio, ma rimanda all’incontro di persona tutto il resto dei discorsi. Chi sceglie di parlare di persona usa tutti i canali sensoriali e coinvolge l’interlocutore, trasmettendogli le proprie emozioni in molti altri modi. In più si è completamente sinceri perché l’atteggiamento non può smentire quello che si dice. Ovviamente di persona ci si imbatte anche in qualche guaio, perché si può capire molto meglio se c’è un problema o un dubbio che assale l’altro. E anche se non si è pronti a rivelare tutto di sé, forse è meglio affidarsi nel frattempo ad altri mezzi per comunicare sentimenti ed emozioni.


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domenica 3 ottobre 2010

L’amore sviluppa l’intelligenza




L’amore sviluppa l’intelligenza

Dimostrato nel cervello delle scimmie. È provato nell’uomo. Ma è anche la prova che le relazioni terapeutiche modificano la biochimica cerebrale.


Più un bimbo è amato ed è circondato d’affetto, più il suo cervello si espande. Si fortifica. Diventa intelligente. È provato, scientificamente. Stephen Suomi, primario del laboratorio di Etologia Comparativa del National Institute of Bethesda (nel Maryland), lo ha dimostrato con uno studio sulle scimmie. E dobbiamo crederci che valga anche per noi, visto che noi umani condividiamo con gli scimpanzé il 99% del codice genetico. STRESS - Tutto succede nei primi anni di vita di un bimbo. Con l’adolescenza i giochi si chiudono. L’interazione gene-ambiente avviene infatti durante lo sviluppo. Questione di biochimica cerebrale. Suomi ha dimostrato come le relazioni di attaccamento sicuro a livello familiare formano un attività cognitiva del cervello superiore. Ma non solo. Con i suoi studi, il professor Suomi ha verificato anche che le relazioni affettivamente stabili forniscono agli individui la cosiddetta “resilienza”, ovvero la capacità di sopportare gli stress ambientali. E, al contrario, un deficit di affetti nell’infanzia può generare una disfunzione del gene della serotonina, ovvero la “molecola della depressione”. ALLA SAPIENZA - Non è una voce isolata quella di Stephen Suomi. Anzi. Da domani e per tre giorni, in un convegno alla “Sapienza” a Roma insieme all’etologo Suomi si troveranno biologi come Enrico Alleva (Istituto superiore di sanità), psichiatri come Massimo Biondi (direttore di Psichiatria alla Sapienza), Athanasios Koukopolus (direttore di Aretaus) e psicologi clinici come Adele De Pascale (facoltà di Medicina alla “Sapienza”) per dire tutti la stessa cosa. Ovvero che la mente nasce dalle emozioni. Ognuno dal suo punto di vista. “Evoluzione, emozione, linguaggio, coscienza”, è il titolo del congresso della Sapienza. «Dove si sancisce una conquista importante: la psicoterapia non litiga più con la psichiatria biologica», dice la professoressa De Pascale. E spiega che questo è possibile grazie agli approcci cognitivi post-razionalisti, aggiungendo: «Anche le relazioni terapeutiche modificano la biochimica cerebrale». Arachi Alessandra ] Più un bimbo è amato ed è circondato d’affetto, più il suo cervello si espande. Si fortifica. Diventa intelligente. È provato, scientificamente. Stephen Suomi, primario del laboratorio di Etologia Comparativa del National Institute of Bethesda (nel Maryland), lo ha dimostrato con uno studio sulle scimmie. E dobbiamo crederci che valga anche per noi, visto che noi umani condividiamo con gli scimpanzé il 99% del codice genetico.

STRESS - Tutto succede nei primi anni di vita di un bimbo. Con l’adolescenza i giochi si chiudono. L’interazione gene-ambiente avviene infatti durante lo sviluppo. Questione di biochimica cerebrale. Suomi ha dimostrato come le relazioni di attaccamento sicuro a livello familiare formano un attività cognitiva del cervello superiore. Ma non solo. Con i suoi studi, il professor Suomi ha verificato anche che le relazioni affettivamente stabili forniscono agli individui la cosiddetta “resilienza”, ovvero la capacità di sopportare gli stress ambientali. E, al contrario, un deficit di affetti nell’infanzia può generare una disfunzione del gene della serotonina, ovvero la “molecola della depressione”.

ALLA SAPIENZA - Non è una voce isolata quella di Stephen Suomi. Anzi. Da domani e per tre giorni, in un convegno alla “Sapienza” a Roma insieme all’etologo Suomi si troveranno biologi come Enrico Alleva (Istituto superiore di sanità), psichiatri come Massimo Biondi (direttore di Psichiatria alla Sapienza), Athanasios Koukopolus (direttore di Aretaus) e psicologi clinici come Adele De Pascale (facoltà di Medicina alla “Sapienza”) per dire tutti la stessa cosa. Ovvero che la mente nasce dalle emozioni. Ognuno dal suo punto di vista. “Evoluzione, emozione, linguaggio, coscienza”, è il titolo del congresso della Sapienza. «Dove si sancisce una conquista importante: la psicoterapia non litiga più con la psichiatria biologica», dice la professoressa De Pascale. E spiega che questo è possibile grazie agli approcci cognitivi post-razionalisti, aggiungendo: «Anche le relazioni terapeutiche modificano la biochimica cerebrale».

Arachi Alessandra


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SCIENZA: Un microchip nel cervello per stimolare l'orgasmo




SCIENZA: Un microchip nel cervello per stimolare l'orgasmo: "'Un microchip nel cervello per stimolare l'orgasmo' Dalla Oxford University un dispositivo in grado di stimolare il piacere di SARA FI..."


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