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mercoledì 19 febbraio 2020

Rula Jebreal: Monologo sul Femminicidio

Rula Jebreal: Monologo sul Femminicidio


La giornalista Palestinese ha ricordato il suicidio della madre,
 stuprata da un uomo che conosceva. 
In lacrime ha detto : lotto per me , per lei e per mia figlia


Era molto attesa Rula Jebreal una giornalista intelligente, volitiva, bella, indipendente. Una donna che ovunque è andata negli anni ha sollevato polemiche perchè dice quel che pensa, perchè è libera. Del suo monologo si parlava tantissimo ancor prima di essere pronunciato. E ha superato le aspettative: durissimo, mentre raccontava il suicidio della madre, stuprata e brutalizzata da un uomo che conosceva bene. Parole dure, commoventi, che hanno fatto piangere tante donne in platea e a casa. Rula bellissima «con il mio abito migliore», ha regalato emozioni fortissime al Festival di Sanremo. Inaspettate per la forza e la portata del messaggio.

Jebreal che per tutta la serata era stata sorridente e aveva svolto il suo ruolo di co-conduttrice con garbo ed eleganza, verso la mezzanotte ha preso quello spazio sul palco per parlare a tutti donne e uomini. Aveva davanti a sè due libri, uno nero, con le parole della realtà e uno bianco con testi di canzoni meravigliose. Rula parte dalla realtà, dalle parole che feriscono. «Che biancheria aveva quella sera?» e «trova sexy un uomo coi jeans?» . «Se le donne non vogliono essere stuprate devono smettere di essere poco di buono». Ecco queste sono solo alcune delle frasi rivolte alle donne vittime di violenza sessuale che si ascoltano nelle aule del tribunale. «Noi donne non siamo mai innocenti - prosegue Rula - o perchè abbiamo denunciato troppo tardi o troppo presto, o perchè siamo troppo belle o troppo brutte, o disinibite e ce la siamo voluta».

Legge alcuni versi del meraviglioso testo «La cura» di Battiato

È un crescendo di commozione e durezza. La voce di Rula lentamente si incrina. Jebreal racconta di sè, della sua infanzia, del suo dolore immenso: «Sono cresciuta in un orfanotrofio con altra bambine, tutte le sere raccontavamo una storia ed erano favole tristi , ci raccontavano delle nostre madri spesso stuprate, torturate, uccise». Rula elenca i numeri agghiaccianti dei femminicidi in Italia: negli ultimi 3 anni 3 milioni di donne hanno subito violenza. Sei donne sono state uccise solo la scorsa settimana e nell 80 per cento dei casi il carnefice abitava in casa».

Il suo monologo è stato il momento più toccante della prima serata del Festival di Sanremo. Rula Jebreal ha sbaragliato tutti parlando delle donne vittime di violenza senza essere mai banale. E il giorno dopo svela alcuni retroscena sulla polemiche che hanno accompagnato la sua presenza sul palco accanto ad Amadeus.

«Le polemiche di Lega e Fratelli d'Italia mi hanno lasciato scioccata, qualcuno era persino per il contradditorio. Dalla Rai ho ricevuto grande sostegno e una libertà totale. Il direttore di Ra1 mi ha commosso e sostenuto fino in fondo». E poi rivela che il monologo recitato, citando i testi di alcune tra le canzoni italiane più famose, da La Cura di Battiato alla Donna Cannone di De Gregori, è stato scritto con la giornalista Selvaggia Lucarelli: «Mi ha aiutato a dire le cose giuste». 

Rula Jebreal, ecco cosa ha detto. «Troppe donne stuprate due volte, come mia madre»

«Rula appare battagliera - dice la Lucarelli - ieri è uscita la sua vera anima».
 «Dire quelle parole è stata dura - ammette Rula - ma l'energia in sala era bellissima».

«Tutto è nato da una telefonata che mi ha fatto Rula la settimana 
scorsa nella quale mi diceva che le piace come
scrivo e mi ha voluto incontrare. Mi ha parlato di quello che voleva dire, quello che voleva raccontare, mi ha fatto leggere quello che era stato già buttato giù dagli autori Rai, e man mano abbiamo costruito insieme il testo che poi Rula ha letto e interpretato a Sanremo». Così  Selvaggia Lucarelli racconta come è nata la collaborazione con Rula Jeabreal.
«Molto ha fatto la sua interpretazione e la sua commozione, la forza della sua storia. - continua Lucarelli - Credo che Rula abbia compreso che dieci minuti da sola sul palco di Sanremo voleva dire avere l'occasione di poter dire qualcosa di forte, di poter lanciare un messaggio forte a tantissime persone in un contesto giusto, di silenzio di attenzione e un poco solenne come quello di Sanremo quando si spengono le luci»
«Rula ha compreso che le sue parole non potevano essere sbiadite - dice ancora Lucarelli - ha scelto di scoprirsi , di raccontare la cosa più dolorosa e più importante della sua vita a milioni di persone e ho apprezzato il suo coraggio, la sua forza di arrivare fino in fondo. Lei tanto battagliera, tanto ferma nel suo lavoro di giornalista ha tirato fuori la sua fragilità ed è stato bellissimo. Ha poi avuto la forza di non piangere durante il monologo, ma io mi sono commossa come tanti, tantissimi altri in sala e credo anche a casa».
«Altre, future collaborazioni? Non lo so, lei vive a New York io qui, - conclude Lucarelli - ci siamo sentite anche poco fa e abbiamo deciso per il momento di prendere un caffè insieme: c'è tanto affetto reciproco e tanto rispetto, vedremo».

ECCO IL TESTO INTEGRALE

Lei aveva la biancheria intima quella sera?

-Si ricorda di aver cercato su internet il nome di un anticoncezionale quella mattina?

-Lei trova sexy gli uomini che indossano i jeans?

-Se le donne non vogliono essere sfruttare devono smetterla di vestirsi da poco di buono.

Queste sono solo alcune delle domande poste in un’aula di tribunale a due ragazze che in Italia, non molto tempo fa, hanno denunciato una violenza sessuale. Domande insinuanti, melliflue, che sottintendono una verità amara, crudele: noi donne non siamo mai innocenti. Non lo siamo perché abbiamo denunciato troppo tardi, perché abbiamo denunciato troppo presto, perché siamo tropo belle o troppo brutto perché eravamo troppo disinibite e ce la siamo voluta.

“Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo.

Perché sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di te.”

Sono cresciuta in un orfanotrofio, insieme a centinaia di bambine. La sera, una per volta, noi bambine raccontavamo una storia, le nostre storie. Erano una specie di favole tristi. Non favole di mamme che conciliano il sonno, ma favole di figlie sfortunate, che il sonno lo toglievano. Ci raccontavamo delle nostre madri: torturate, uccise, violentate.

Ogni sera, prima di dormire, ci liberavamo tutte insieme di quelle parole di dolore. Io amo le parole. Ho imparato, venendo da luoghi di guerra, a credere nelle parole e non ai fucili, per cercare di rendere il mondo un posto migliore. Anche e soprattutto per le donne. Ma poi ci sono i numeri.

E in Italia, in questo magnifico Paese che mi ha accolto, i numeri sono spietati: ogni 3 giorni viene uccisa una donna, 6 donne sono state uccise la scorsa settimana. E nell’85% dei casi, il carnefice non ha bisogno di bussare alla porta per un motivo molto semplice: ha le chiavi di casa. Ci sono le sue impronte sullo zerbino, l’ombra delle sue labbra sul bicchiere in cucina.

“Butterò questo mio enorme cuore tra le stelle un giorno

Giuro che lo farò

E oltre l’azzurro della tenda nell’azzurro io volerò

Quando la donna cannone

D’oro e d’argento diventerà

Senza passare dalla stazione

L’ultimo treno prenderà”.

Mia madre Zakia, che tutti chiamavano Nadia, ha preso il suo ultimo treno quando io avevo 5 anni. Si è suicidata, dandosi fuoco. Ma il dolore era una fiamma lenta che aveva cominciato a salire e ad annerirle i vestiti quando era solo un’adolescente. Il suo corpo era qualcosa di cui voleva liberarsi, era stato la sua tortura. Perché mia madre Nadia fu stuprata e brutalizzata due volte: a 13 anni da un uomo e poi dal sistema che l’ha costretta al silenzio, che non le ha consentito di denunciare. Le ferite sanguinano di più quando non si è creduti. L’uomo che l’ha violentata per anni, il cui ricordo incancellabile era con lei, mentre le fiamme mangiavano il suo corpo, aveva le chiavi di casa.

“Sally ha patito troppo

Sally ha già visto che cosa

Ti può crollare addosso

Sally è già stata punita

Per ogni sua distrazione o debolezza

Per ogni candida carezza

Data per non sentire l’amarezza”

Quante volte siamo state Sally? Mentre Franca Rame veniva violentata il 9 marzo del 1973, cercò salvezza nella musica. “Devo stare calma. Devo stare calma. Mi attacco ai rumori della città, alle parole delle canzoni, devo stare calma”, recitava nel suo potente monologo “Lo stupro”, in cui ripercorreva quel fatto drammatico. Le parole delle canzoni possono essere messaggi d’amore e di salvezza.  Io sono diventata la donna che sono perché lo dovevo a mia madre, lo devo a mia figlia che è seduta in mezzo a voi. Lo dobbiamo tutte, tutti, a una madre, una figlia, una sorella, al nostro paese, anche agli uomini, all’idea stessa di civiltà e uguaglianza. 
All’idea più grande di tutte: quella di libertà.

Parlo agli uomini, adesso. Lasciateci libere di essere ciò che vogliamo essere: madri di dieci figli e madri di nessuno, casalinghe e carrieriste, madonne e puttane, lasciateci fare quello che vogliamo del nostro corpo e ribellatevi insieme a noi, quando qualcuno ci dice cosa dobbiamo farne. Siate nostri complici. E quando qualcuno ci chiede “Lei cosa ha fatto per meritare ciò che è accaduto?”

“C’è un tempo bellissimo, tutto sudato

Una stagione ribelle

L’istante in cui scocca l’unica freccia

Che arriva alla volta celeste

E trafigge le stelle

È un giorno che tutta la gente

Si tende la mano

È il medesimo istante per tutti

Che sarà benedetto, io credo

Da molto lontano”.

Sono stata scelta stasera per celebrare la musica e le donne, ma sono qui per parlare delle cose di cui è necessario parlare. Certo ho messo un bel vestito. Domani chiedetevi pure al bar “Com’era vestita Rula?”. Che non si chieda mai più, però, a una donna che è stata stuprata: “Com’era vestita, lei, quella notte?”. Mia madre ha avuto paura di quella domanda. Mia madre non ce l’ha fatta. E così tante donne. E noi non vogliamo più avere paura. Vogliamo essere amate. Lo devo a mia madre, lo dobbiamo a noi stesse, alla nostre figlie. Nessuno può permettersi il diritto di addormentarci con una favola. Vogliamo essere note, silenzi, rumori, libere nel tempo e nello spazio. 
Vogliamo essere questo: musica.

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lunedì 17 febbraio 2020

Sanremo, il Diritto di Scandalizzare

Sanremo, il Diritto di Scandalizzare
Sanremo, il Diritto di Scandalizzare

Sanremo, il Diritto di Scandalizzare

Sanremo, il Diritto di Scandalizzare

Sanremo, il Diritto di Scandalizzare


Sanremo, il Diritto di Scandalizzare


Sanremo, il Diritto di Scandalizzare



Sono gesti sospesi nel tempo, soppesati dallo spazio, quelli che a Sanremo generano stupore, provocano apprezzamenti e critiche, sdoganano norme accettate dalla società credute inopinabili. Si chiamano scandali e quest’anno a Sanremo non ne sono di certo mancati. Come ogni anno d’altronde.

In un Paese in cui la musica si diffonde attraverso i canali televisivi a colpi di talent e programmi dai nomi stranieri storpiati dai più, colpisce il dissidente. Additato come una vergogna, definito provocatore e irrispettoso del palco storico del Festival su cui si sono esibiti i più grandi talenti della musica italiana e internazionale.

È stato così quando Bobby Solo si truccò con il mascara, Rino Gaetano pronunciò per la prima volta la parola sesso, Loredana Bertè sfoggiò un finto pancione.

È stato il Sanremo di Achille Lauro
Lo è stato quest’anno per Achille Lauro, protagonista, diciamolo, di questo Sanremo. Il cantante fa ribrezzo per i suoi costumi teatrali e le vesti succinte. Travalica il buongusto e il suo dovere di essere esecutore vocale di un brano. Solo quello.  Alla fine i contenuti vengono confezionati per un pubblico che è abituato ad altro, e devono rispecchiare il gusto nazional popolare. La reazione per questo è immediata, perché di fronte a ciò non si può sospendere l’opinione, ed ecco il dissidio: pochi lo amano altri lo odiano. Due cose però bisogna dirle. Al di là della canzone, le sue performance musicali a Sanremo hanno sconfinato i limiti del palco sanremese con un mix di teatro, letteratura, interpretazione di libertà e introdotto la necessità di una voce gender in quella che è definita da Bauman società liquida. Questa è la prima. Achille Lauro a Sanremo fa più scandalo di Salvini al citofono. Questa la seconda.

Cosa fa scandalo e cosa no
Tante cose suscitano scandalo nella società strutturata in limiti fatta di norme, consuetudini e comune accettato, specie nelle realtà provinciali e medio borghesi.

Così fa scandalo a Sanremo il leitmotiv di Amedeus “le donne sono belle”, per fortuna. Ma anche la partecipazione di Rula Jebreal. Non fa scandalo la cancellazione dalla scaletta del video messaggio di Roger Waters sulla Palestina. La denuncia della Cgil sulle paghe di alcuni membri dell’orchestra del Festival: gli archi da 30 a 60 euro al giorno a fronte dei cachet di Roberto Benigni e Georgina Rodriguez. Il mio falegname con 30 mila lire la faceva meglio. Non fa scandalo la poltrona in prima fila per Cristiano Ronaldo, condannato si ricordi per evasione fiscale.

Scandaloso è Achille Lauro. Ma anche i testi sessisti di Junior Cally. E poi ancora Achille Lauro, e i monologhi effimeri e costruiti sulla bellezza che tentano di abbattere stereotipi con altri stereotipi. 

Lo scalpore colpisce la morale
E rende l’evento memorabile. Ecco perchè di Sanremo si ricordano alcune esibizioni più dei vincitori dello stesso anno. Entrando nelle parole pungenti e falsamente argute, si penetra in qualcosa di più profondo che è l’assimilazione di un messaggio esterno e la sua rielaborazione che ognuno di noi fa, nel confronto con la propria cultura, i propri istinti, le percezioni sociali e morali.  Alla fine esce l’applauso o il fischio.

Ma le regole del buon costume, del contegno e del decoro, non valgono allo stesso modo per i diversi campi del nostro mondo. Alla fine il moralismo è ancora imperante nella nostra società, ma solo quando gli conviene.




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domenica 16 febbraio 2020

Franca Rame Storia di uno Stupro

Franca Rame Storia di uno Stupro


MEDICO: "Dica, signorina, o signora, durante l’aggressione lei ha provato solo disgusto o anche un certo piacere una inconscia soddisfazione?"

POLIZIOTTO: "Non s’è sentita lusingata che tanti uomini, quattro mi pare, tutti insieme, la desiderassero tanto, con così dura passione?"

GIUDICE: "È rimasta sempre passiva o ad un certo punto ha partecipato?"

MEDICO: "Si è sentita eccitata? Coinvolta?"

AVVOCATO DIFENSORE DEGLI STUPRATORI: "Si è sentita umida?"

GIUDICE: "Non ha pensato che i suoi gemiti, dovuti certo alla sofferenza, potessero essere fraintesi come espressioni di godimento?"

POLIZIOTTO: "Lei ha goduto?"

MEDICO: "Ha raggiunto l’orgasmo?"

AVVOCATO: "Se sì, quante volte?"
(tratto da un’intervista di Oggi a Franca Rame)

La sera del 9 marzo 1973 e Franca Rame, a Milano, fu rapita, caricata su un furgone, seviziata e infine stuprata da cinque uomini. Fu un vero e proprio stupro punitivo, compiuto da un gruppetto di militanti neofascisti perché era la compagna di Dario Fo, un “rosso” per eccellenza, e perché lei stessa collaborava con Soccorso Rosso nelle carceri e si era esposta in prima persona sul caso dell’anarchico Giuseppe Pinelli, morto in circostanze misteriose nel 1969.

Credete davvero che la "morale" patriarcale e maschilista di questo Paese, ma anche di altri Paesi, sia cambiata dal '69 ad oggi?
No, non per le donne, non per l'ignoranza e l'autoritarismo interiorizzato da questo "popolo bue"!
Ancora oggi si sente dire "Se l'è cercata! Andava in giro con abiti succinti"... "Indossava lingerie sexy"... "Eh, ma a quell'ora era ancora in giro?"...
Questa è l'Italia del 2019

Franca Rame Storia di uno Stupro


FRANCA RAME: LA STORIA DEL SUO MONOLOGO “LO STUPRO”


Franca Rame è quella che si può definire una Donna Combattente.


Nella sua vita ha sempre lottato e si è sempre impegnata nelle battaglie civili, soprattutto per quanto riguarda il ruolo della donna nella società.

E ha combattuto attraverso la forma d’Arte che più ammiro, quella del Teatro.

Combattere ciò che c’è di retrogrado e medievale nella società con qualcosa che è antico quasi quanto l’essere umano è qualcosa di meraviglioso.

In questo modo la tua arma sono le parole. Le parole recitate e vissute su un palcoscenico. La tua arma sono le tante storie create e interpretate sul palco.

E la parola, se ben usata, è più forte mille spade.


Franca Rame, assieme a suo marito Dario Fo, è considerata una delle più importanti esponenti della cultura teatrale italiana.

D’altra parte non poteva essere altrimenti per una donna nata e cresciuta in una famiglia dalle antichissime tradizioni teatrali.

Entrambi i genitori di Franca erano infatti attori, legati anche al teatro delle marionette.

Ha iniziato a far teatro fin da piccolissima, appena nata. I suoi familiari la impiegavano spesso come neonato in fasce nelle commedie teatrali che mettevano in scena.

Una donna come lei non poteva quindi non innamorarsi di un genio del teatro come Dario Fo. Da questo momento in poi, la vita artistica e teatrale di Franca Rame si intreccia in maniera indissolubile a quella sentimentale. Fo e Rame diventano compagni sia sul palco che nella vita.

Si sposano nel 1954 e quattro anni più tardi fondano la “compagnia Dario Fo – Franca Rame”. La loro bravura è tale che nel giro di poco tempo riscuoteranno grande successo commerciale nel circuito dei teatri cittadini istituzionali.

Ma per Fo e Rame il Teatro non è solo un lavoro. E’ anche l’occasione per comunicare le loro idee, per far denuncia. Franca Rame e Dario Fo fanno e vivono il teatro durante gli anni sessanta, periodo di forti cambiamenti e tumulti. Abbracciano così l’utopia sessantottina che porterà alla nascita dello spazio teatrale “La Comune”. In questo modo, la Rame ha l’occasione di interpretare pezzi teatrali satirici di forte denuncia e di controinformazione politica come “Morte accidentale di un anarchico” e “Non si paga! Non si paga”.

Per Franca Rame, alla fine degli anni settanta, arriva la svolta femminista che la porta a interpretare sul palco testi di suo pugno come “Tutto casa, letto e chiesa”.

Il suo impegno civile, attraverso il teatro, è ormai riconosciuto da tutti ed è stato un processo del tutto naturale il conferimento a lei e al marito nel 1999 della laurea honoris causa da parte dell’Università di Wolverhampton.

Negli ultimi anni della sua vita, nel 2006, è anche diventata senatrice per il partito l’Italia dei Valori. Ma il suo impegno politico dura appena due anni.

Poi nel 2009, assieme al marito, scrive la sua autobiografia.

Nel 2012 viene colpita da un ictus e ci lascia per sempre nel 2013.

Ma una forte personalità come la sua non muore mai veramente. Franca Rame ancora vive. E lo fa attraverso le sue perfomance e alcuni dei suoi componimenti teatrali più importanti, come il celebre e doloroso monologo “Lo Stupro”.

Franca Rame Storia di uno Stupro


“LO STUPRO”.
Quando una donna è una combattente nelle viscere, puoi umiliarla, picchiarla e violentarla. Lei riuscirà comunque a rimettersi in piedi.

Franca Rame il 9 Marzo 1973 è stata rapita da cinque uomini, cinque neofascisti. L’hanno fatta salire di forza sopra un furgoncino e a turno l’hanno seviziata e stuprata.

Lo hanno fatto perché lei e suo marito dicevano nei loro spettacoli cose che non condividevano. Per questo motivo è importante precisare il loro colore politico. Hanno risposto alla sua arma, quella del teatro, con uno dei crimini più riprovevoli che esistono.

Poi l’hanno abbandonata sulla strada, in stato confusionale e con i vestiti strappati.

Da questa terribile esperienza nasce, nel 1975, uno dei monologhi più dolorosi che il teatro italiano abbia mai conosciuto: “Lo Stupro”

Inizialmente l’attrice ha raccontato e recitato in teatro la violenza subita senza dire che le parole nascevano direttamente da ciò che aveva vissuto.

Per anni, la stessa Rame non è riuscita infatti a parlare apertamente e liberamente di quella che è stata sicuramente un’esperienza devastante. Nemmeno con l’uomo che amava.

Solo nel 1987 ha trovato la forza di dichiarare, in televisione, che quello che racconta il suo monologo è ciò che ha subito davvero lei, in prima persona.

IL TEATRO COME PSICANALISTA DEL DOLORE.
Per una donna come Franca Rame, che non ha semplicemente fatto l’artista, ma ERA un’artista fin nel profondo, il modo migliore per superare un’esperienza così orrenda è stato fare teatro.

Il suo monologo “Lo Stupro” è stato quindi il suo psicanalista del dolore. Solo attraverso il teatro, la Rame è riuscita a esprimere e a superare l’umiliazione e il male che quegli uomini le hanno inflitto.

E’ con il teatro che si è liberata e ha esorcizzato il suo profondo dolore. Dolore che non è solo fisico, ma anche emotivo e morale. Perché quando ti violentano il dolore è doppio.

Le parole de “Lo Stupro” sono parole pesanti, graffianti. Non puoi non sentire anche te il male della donna che viene stuprata. Ti entrano dentro quelle parole, ti entrano nel cuore, e ti fanno stare male.

Si dice che, la prima volta che la Rame ha interpretato questo monologo, in sala alcune ragazze svennero. E in effetti, non è difficile crederlo.

Le parole del monologo non lasciano niente all’immaginazione e già solo a leggerle,
 si soffre con la vittima.

IL TEATRO COME DENUNCIA.
Ma il Monologo “Lo Stupro” non solo ha aiutato la Rame a superare questa dolorosa esperienza.

Ha aiutato e aiuta tuttora tutte le donne a non aver paura di denunciare. Le invita a non fare lo stesso errore della donna del monologo, che non ha avuto subito il coraggio
 di denunciare chi le aveva fatto violenza.

La Rame, una volta superato lei definitivamente il trauma, si è impegnata affinchè le sue parole di dolore e il suo orrore potessero denunciare ciò che una donna deve affrontare, anche dopo aver subito lo stupro. Nella presentazione al suo monologo l’attrice ha infatti riportato le perizie e le parole che alcuni avvocati, poliziotti e medici hanno detto a donne che denunciano uno stupro: “Lei ha goduto? Ha raggiunto l’orgasmo? Se sì, quante volte?”.

In questo modo il dolore di Franca Rame diventa il dolore di tutte quelle donne che hanno o subiscono una violenza sessuale.

E è così che il teatro non è stato solo lo psicanalista di Franca Rame, ma si trasforma in una  testimonianza della terribile posizione della donna violentata che denuncia ciò che ha subito.

Certo, forse le cose sono migliorate rispetto agli anni settanta ma è fuori da ogni dubbio che, spessissimo, le donne abbiano timore a denunciare lo stupro subito e preferiscono tacere.

“LI DENUNCERÒ DOMANI”
A questo proposito, vorrei riportare un passo del monologo di Franca Rame. Spero che queste poche parole possano far riflettere tutti quanti sulla difficile e penosa situazione che ogni donna violentata si trova a vivere, dopo aver subito lo stupro.

E spero che induca la maggior parte delle persone a non giudicare e a portare rispetto per chi ha subito un crimine infame come questo.

“Tengo con la mano destra la giacca chiusa sui seni scoperti. È quasi scuro. Dove sono? Al parco. Mi sento male… nel senso che mi sento svenire… non solo per il dolore fisico in tutto il corpo, ma per lo schifo… per l’umiliazione… per le mille sputate che ho ricevuto nel cervello… per lo sperma che mi sento uscire. Appoggio la testa a un albero… mi fanno male anche i capelli… me li tiravano per tenermi ferma la testa. Mi passo la mano sulla faccia… è sporca di sangue. Alzo il collo della giacca. Cammino… cammino non so per quanto tempo. Senza accorgermi, mi trovo davanti alla Questura. Appoggiata al muro del palazzo di fronte, la sto a guardare per un bel pezzo. Penso a quello che dovrei affrontare se entrassi ora… Sento le loro domande. Vedo le loro facce… i loro mezzi sorrisi… Penso e ci ripenso… Poi mi decido… Torno a casa… torno a casa…

Li denuncerò domani”

Franca Rame Storia di uno Stupro


Chi fa teatro, soprattutto chi lo fa nel modo di Franca Rame e di suo marito,
 è una benedizione per la società.


Allo stesso modo, Il monologo “Lo Stupro” è una benedizione,
 perché fa sentire un po’ meno sole tutte le donne violentate.

Perciò non rimane che dire una sola cosa: Grazie Franca Rame.

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